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Categoria: Storie
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5 maggio 1982. Un colpo di pistola alla tempia uccide Giorgio Vale sorpreso da un’ir­ru­zione della polizia in un appartamento di via Decio Mure al Quadraro.

L’affittuario dell’appartamento era Luigi Sortino, una volta militante di Avanguardia nazionale, già arrestato nel 1977 perché a casa sua era stata trovata una valigia con documenti di Stefano Delle Chiaie, affittuario del covo romano di via Decio Mure ((angolo Via Lucio Mario Perpetuo)in cui dormiva Giorgio Vale, già di Terza posizione, passato ai NAR di Valerio Fioravanti.
 Sciortino era stato fermato sotto quell’abitazione la mattina del 5 maggio 1982. I funzionari di polizia Umberto Improta e Salvatore Genova (che sarà poi processato per le torture inferte ai brigatisi rossi che avevano rapito il generale americano James Lee Dozier) si fanno dare da lui le chiavi e sorprendono nel sonno Vale che – secondo una versione ritenuta reale negli ambienti dell’estrema destra e certamente plausibile - anziché essere ammanettato, così la versione dei suoi familiari e camerati,  viene giustiziato sul posto con un colpo di pistola alla testa. .

Quando la Magistratura romana, nel settembre 1980, ordinò un blitz contro Terza Posizione e la conseguente fuga dei principali dirigenti all’estero, Giorgio Vale, detto “Il Drake”, nato politicamente in "Lotta Studentesca" e non ancora maggiorenne, divenne il responsabile carismatico del gruppo. Mulatto (nonna eritrea), capelli neri crespi e carnagione olivastra, seppe subito calarsi nel contesto della destra radicale degli anni settanta e ottanta. Nel giro di due anni, l’organizzazione raggiunse circa duecento militanti a Roma e un numero consistente anche in altre città d’Italia. Affascinato dalla figura di Valerio Fioravanti, leader incontrastato dei Nuclei Armati Rivoluzionari (Nar) nati nel quartiere di Trieste a Roma, Giorgio Vale, non esitò ad abbracciare il movimento armato. Protagonista di numerose attività politiche ma anche di rapine e aggressioni portarono la Magistratura ad emettere un ordine di cattura nei suoi confronti. Giorgio, latitante, si rifugiò in un appartamento nel quartiere Quadraro in via Decio Mure. Mentre erano in corso le trattative da parte della famiglie e del suo avvocato per farlo costituire, la mattina del 5 maggio 1982, funzionari della Digos, fecero irruzione nell’abitazione colpendolo a morte. Subito si parlò di suicidio. Infatti, nel comunicato ufficiale delle forze dell’ordine fu evidenziato che durante l’operazione, Vale, sentendosi braccato avrebbe deciso di mettere fine alla sua latitanza. In realtà, nell’appartamento furono ritrovati un centinaio di proiettili provenienti dalle armi in dotazione ai funzionari della Digos e le verifiche della Polizia Scientifica, con il guanto di paraffina, stabilirono che Giorgio Vale non aveva sparato.

Alcuni testimoni del posto, quella mattina la zona fu circondata da un centinaio di poliziotti e tiratori scelti, alcuni di questi si posizionarono sul muretto del Quadrato, dove danno le finestre del piano terra dove è posto l’appartamento. A fianco del cortiletto dell’appartamento,  un’officina del  meccanico, le saracinesche della bottega erano ancora chiuse. Fori dei proiettili sono ancora visibili nel 2011. I poliziotti iniziarono a sparare per avvisare che l’appartamento era circondato. Così raccontano gli operai dell’officina.

via decimo mure 43  cortiletto officina 
Via Decio Mure 43
Il cortiletto dove danno le
finestre dell'appartamento
L’officina vicino alle finestre
di Via Decio Mure


Da il sito ufficiale del libro 'Cuori Neri', Sperling&Kupfer 2006 di Luca Telese:

"..La cosa ando’ cosi’: da fuori gli ultimi latitanti dei Nar fecero arrivare a Novara la notizia che Palladino aveva venduto Vale. In quella primavera dell’82, Vale si era appoggiato ad una rete avanguardista del Quadraro, zona storica di Avanguardia. Luigi Sortino era quello che lo aiutava. Secondo i Nar, Palladino, quando fu arrestato e portato al primo reparto mobile, di Castro Pretorio, avrebbe detto alla polizia: ”Seguite Sortino e troverete Vale”.
Non sapremo mai se sia andata effettivamente cosi’ o se il povero Palladino fu vittima di una informazione falsa (come Pizzari). Ma questa arrivo’ a Novara.
Ora, se parlate con Delle Chiaie, che di Palladino era fraterno amico, lui vi raccontera’ un’altra storia. E cioe’ che i magistrati avevano costruito una falsa pista per la strage di Bologna, che vedeva come presunti responsabili: Giorgio Vale, Pierluigi Pagliai, Carmine Palladino e lui stesso. E che, guarda caso, ci rimisero (quasi) tutti la pelle.."

(Carmelo Palladino già abitante in Piazza dei Consoli - Quadraro)