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Ricordi da salvare al Quadraro
27 gennaio 2012 di Teresa Vergalli


Domenica 23 al Quadraro, un bel gruppo di cittadini ha accolto festosamente un bel prete scomodo, don Roberto Sardelli, del quale si può sapere molto andando a cercare su  www.nontacere.eu.

Questo  è il quartiere riassunto nel simbolo Q44, che significa Quadraro 1944, cioè precisamente 17 aprile 1944, data in cui i tedeschi, dopo aver bloccato dai quattro lati degli antichi acquedotti la povera borgata operaia, hanno rastrellato un migliaio di uomini deportandone poi settecento, quasi tutti scomparsi di stenti e di oblio in fabbriche schiaviste o lager di Germania. Il quartiere era stato così duramente punito perché definito dai tedeschi “nido di vespe”, per i continui attacchi e attentati alle colonne che andavano verso i castelli   per contrastare l’avanzata degli alleati sbarcati ad Anzio.

Questo  è uno dei quartieri di Roma dove negli anni del boom c’erano i baraccati. A Roma avevamo  anche il borghetto Prenestino, una vera bidonville, che a noi arrivati dalla civile Novara ci aveva sconvolto di angoscia e incredulità. C’era l’altro insediamento di Via del Mandrione, anch’esso addossato agli archi e alle mura degli acquedotti che vanno verso Porta Maggiore e San Giovanni. Qui al Quadraro, dilagato poi colle nuove costruzioni  fino  alla Cinecittà dei palazzinari, i baraccati erano installati sotto le arcate dell’acquedotto Felice, quello che ora si snoda maestoso accanto alle più  alte campate  dell’acquedotto Claudio e di quello dell’Acqua Marcia, da cui passa ancora la nostra buonissima acqua pubblica.

Sotto quegli archi, chiusi e rabberciati, ci si era installato un popolo di emigrati dall’entroterra abruzzese, marchigiano, napoletano o calabrese. Sotto quegli archi c’era anche don Roberto Sardelli, ora scavato e secco ottantenne, allora giovane aitante e  barbuto. Don Roberto, come ancora tutti qui lo chiamano, raccoglieva i ragazzi  in una scuola tutta speciale, somigliante a quella di Don Milani. Era  la scuola 725, aperta nel 1978, baracca tra le baracche, dove lo stesso don Sardelli aveva scelto di vivere. Vi raccoglieva ragazzi di tutte le età, quasi tutti confinati in quelle che nelle scuole statali si chiamavano classi differenziali. Erano classi  ufficialmente destinate ai disabili o ai disadattati, nelle quali era facile rifilare come disadattati i figli dei poveri o di quelli che conoscevano soltanto dialetti lontani. Ragazzi,  che per non far sapere di abitare agli acquedotti, facevano lunghi giri nel ritorno da scuola. Ragazzi che ora, da grandi, si guardano indietro e ringraziano don Roberto, anzi, Roberto, che li ha accompagnati al  successo  nella battaglia della vita. Molti di loro si sono laureati, qualcuno  è imprenditore, molti artigiani, alcuni all’estero.

C’è un bellissimo filmato in parte in bianco e nero, dove gli ex scolari ripercorrono la memoria e ne trasmettono l’eredità morale e culturale, che è quella di “non tacere” rivolta ai nuovi emarginati,  che ora sono gli stranieri, gli zingari, i  neri. Perché purtroppo ancora ci sono le baracche, a Roma,  sotto i ponti e a ridosso dei fiumi. Ci sono anche i villaggi-ghetto dove vengono “sistemati” i rom dopo gli eroici ed enfatizzati “sgomberi” di Alemanno.

Nel filmato è sorprendente sentire i ragazzi di allora esprimersi con tanta efficacia e precisione di linguaggio.  Sono quelli che Don Roberto  ha guidato a scrivere una memorabile lettera al sindaco  dove si  rivendicava  il diritto alla casa.  Quella lettera, costata mesi e mesi di riflessioni e limature,  ignorata in un primo tempo,    ha  poi fatto scalpore,  sottoscritta  da altri 14  parroci e  da un grande favore popolare. Quella lettera non è servita nell’immediato a far avere la casa,  ma ha dato un bell’aiuto a  svoltare  la storia della città aprendo l’ epoca politica nuova del grande sindaco Petroselli  e delle amministrazioni di sinistra, cioè quelle amministrazioni  che hanno via via cancellato la vergogna delle baracche, con i parchi dove devono esserci  i parchi e le case dove devono esserci le case.

Nel discuterne  eravamo tutti commossi, non solo per il filmato, ma per il bel dialogo tra i cittadini, gli anziani pieni di ricordi e questo prete sempre energico e combattivo.

Ce ne vorrebbero altri, di preti così. Purtroppo io conosco solo un Don Ciotti e un don Gallo. Se ce ne sono altri, – e lo spero – qualcuno me ne parli per farmi contenta.  Io che non sono credente.

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