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Il monumento ai caduti nel Parco XVII Aprile 1944 (ex giardino di Monte del Grano)Il quartiere era definito "nido di vespe" dai tedeschi, a causa del disprezzo verso tedeschi e fascisti nella zona, abitata da fasce di popolazione povera e da sfollati delle zone del fronte. Era tanto antifascista che si diceva che, per sfuggire dai tedeschi, "o vai al Vaticano o al Quadraro".  Il seguente rastrellamento non fu che il modo per liberare la zona sud-orientale di Roma dalle masse comuniste, per facilitare l'eventuale ritirata tedesca.
Il 17 aprile 1944 l'esercito tedesco al comando di Kappler, rastrellò per rappresaglia il quartiere e oltre 900 uomini furono deportati in Germania. Alla fine del conflitto solo la metà di questi fece ritorno a casa.

La comunità ribelle. 17 aprile 1944

10 aprile 1944, Lunedì di Pasqua. C’era aria di festa all’osteria di Giggetto a Cecafumo, sulla via Tuscolana dopo quella del Piccione [Ndr. Oggi Via Calpurnio Fiamma]. Anche se da mesi l’aria a Roma era diventata pesante ed ormai irrespirabile, a seguito delle numerose rappresaglie che i nazifascisti commettevano contro la popolazione cittadina, i romani erano riusciti ugualmente a mantenere viva la tradizione popolare della consueta gita fuori porta. Una delle mete della pasquetta romana era l’osteria campestre, cioè un’osteria in campagna, spesso a conduzione familiare e dove si serviva principalmente vino e a volte cibo. Gran parte degli avventori, portandosi il cibo da casa mediante dei grandi fagotti, erano denominati fagottari.

Da Giggetto di fagottari il 10 di aprile era pieno, erano arrivati tutti per godersi un po’ di sole e di tranquillità, di quella tranquillità che era diventata merce rara quasi quanto la farina per il pane alla borsa nera. Anche se molti fra loro non si conoscevano, quel lunedì di pasqua c’erano tutti: belli e brutti, commercianti e contadini, impiegati e disoccupati, famiglie numerose e piccoli gruppi di amici, soldati tedeschi e partigiani. Erano tutti lì con la sola idea di trovare, ognuno a suo modo, un momento di normale tranquillità. Anche Peppino Albano, detto il Gobbetto del Quarticciolo, era lì con due suoi amici del Quadraro, tutti di età compresa tra i 17 e i 20 anni. Per quanto la vita della clandestinità avesse determinate regole, i giovani partigiani socialisti, non volendo rinunciare alla voglia di godersi un po’ di tradizione romana fuori porta, si trovarono anche loro da Giggetto con un po’ di paranoia. Stando alle ricostruzioni storiche della giornata i tre rimasero in una sala molto frequentata in cui vi erano anche tre soldati tedeschi, una presenza questa dei soldati consueta vista l’occupazione di tipo militare della città. A quanto pare i tre ragazzi, ma soprattutto il Gobbo, vennero presi di mira con battute ed ammiccamenti dai soldati, magari per gioco o per scherno. Molti sostengono che il Gobbo fosse stato da subito riconosciuto come il pericoloso nemico del Reich, ma se così fosse stato i soldati non avrebbero certo perso tempo in battute ma avrebbero dato l’allarme La percezione dei soldati, magari anche leggermente alterata dal tosto vino dei Castelli, poteva essere quella di scherno verso un ragazzo diverso per la sua deformità fisica; mentre la percezione dei ragazzi, quella di chi subiva una pesante presa in giro. E’ lecito immaginare che se i nazisti mantenessero l’idea che gli italiani fossero traditori, potenzialmente capaci di uccidere gli eletti figli del Reich Millenario, i partigiani, dal canto loro, compiendo azioni atte a sabotare gli occupanti, vivessero con la paranoia di essere riconosciuti, arrestati e torturati a via Tasso od uccisi come avvenne a Forte Bravetta o alle Fosse Ardeatine. Questi elementi, sicuramente assieme ad altri, potrebbero aver creato le condizioni che determinarono l’uccisione dei tre soldati da parte dei tre ragazzi di borgata, a seguito dell’ attenzione rivolta loro. Tutti scapparono, lasciando i propri fagotti sui tavoli. Scapparono: belli e brutti, commercianti e contadini, impiegati e disoccupati, famiglie numerose e piccoli gruppi di amici. Parte delle indagini furono affidate al Corpo della Polizia Africa Italiana, che dall’ottobre 1943 sostituì le funzioni dei Carabinieri deportati in Germania.

rastrellamenti in roma 1944Dopo una settimana, il 17 aprile, il Capo di Stato Maggiore del Reich, Kesselring diede disposizioni precise per far eseguire l’operazione Balena, volta ad arrestare tutti i responsabili dell’azione e reprimere chi prestava loro aiuto. L’operazione militare venne effettuata in stretta collaborazione della Sicherheitsdienst [SD, Servizio di Sicurezza], il servizio segreto delle SS il cu comandante fu il tenente colonnello SS Herbert Kappler.

L’operazione militare durò circa mezza giornata, l’intera comunità maschile fu prelevata con la forza da casa e portata nei locali del Cinema Quadraro per essere schedata e avviata agli stabilimenti di Cinecittà, che già dal 1943 erano stati trasformati in campo di concentramento per i prigionieri alleati. Con l’aiuto di SS Italiane e spioni del luogo, i nazisti arrestarono tutti: belli e brutti, commercianti e contadini, impiegati e disoccupati, fascisti e antifascisti, Carabinieri e militari che non avevano aderito alla Repubblica Sociale, nipoti, figli e nonni, comunisti, anarchici, cattolici e repubblicani.

Vennero trattenuti solo gli uomini validi al lavoro di età compresa tra i 16 e 60 anni. Ancora oggi non è chiaro il numero a cui ammontarono gli arrestati, ma confrontando i documenti tedeschi e quelli della parrocchia di S. Maria del Buon Consiglio, sembrerebbe che la cifra poteva essere compresa tra i 707 e i 734 individui. Il colpo di frusta per la comunità della borgata non fu solamente quello legato alla privazione dei propri cari, ma anche e soprattutto quello pertinente all’economia familiare, infatti la deportazione dei soli uomini determinò forti aggravamenti per la sopravvivenza fisica dei nuclei familiari, rimasti senza principale fonte di reddito.

Ad un primo giudizio verrebbe da puntare il dito sui partigiani, su coloro che causarono questa disgrazia per la comunità. Causa ed effetto. Ma i nazisti perché avevano paura del Quadraro? Perché non punirono come fecero dopo i fatti di via Rasella dieci italiani per ogni soldato tedesco ucciso? Perché preferirono deportare in massa un’intera comunità maschile fatta di sfollati e migranti italiani? Perché i nazisti avevano paura del Quadraro? Le risposte che troveremmo oggi sarebbero certamente ricche di eticità per i fatti accaduti allora, ma sarebbero altrettanto fuori luogo perché diverse sono le condizioni di vita e di diverso grado il coinvolgimento emotivo che ci lega a quegli eventi.

“Il rastrellamento […] non rientro però nel quadro previsto dalle Forze Armate per procacciarsi mano d’opera. Fu un’operazione diretta dalla polizia responsabile della sicurezza di Roma, la quale vedeva nel Quadraro il rifugio di tutti gli elementi contrari, degli informatori, dei partigiani, dei comunisti, di tutti coloro che essa combatteva. Il comando della città era dell’opinione, più volte manifestata, che quando qualcuno non riusciva a trovare rifugio o accoglienza nei conventi o al Vaticano, si infilava al Quadraro, dover spariva. Voleva farla finita con quel nido di Vespe”.

La rete clandestina era formata da più realtà locali intrecciate fra loro non solo per idee politiche o religiose, ma soprattutto da legami territoriali forti, proprio come quelli dei paesi: belli e brutti, commercianti e contadini, impiegati e disoccupati, famiglie numerose e piccoli gruppi di amici. Il forte senso di comunità viveva attraverso diverse figure, rappresentati l’eterogenea composizione sociale della borgata: Basilotta, imprenditore locale, comandante delle formazioni Matteotti dell’8^ zona del partito socialista; Luigi Forcella, falegname, comandante delle formazioni Garibaldi del Partito Comunista; la P.A.I. del Quadraro, grazie alla quale molte retate furono sventate come riconosciuto dall’organizzazione militare del PSI; I Marescialli dei Carabinieri Floridia e Di Leo, delle ex-caserme del Quadraro e di Cinecittà, aderenti con i loro uomini al Fronte Clandestino dell’Arma dei Carabinieri Filippo Caruso; Don Gioacchino Rey e Monsignor Desiderio Nobels, il primo era il parroco della parrocchia di S.Maria del Buon Consiglio e il secondo, invece, alla parrocchia di S.Giuseppe all’Arco di Travertino, legati entrambi sia all’associazionismo cattolico che e al Fronte Militare Clandestino. Molti erano i legami con formazioni esterne al C.L.N. , ma ben radicate nel tessuto urbano come nel caso di Bandiera Rossa molto forte a Tor Pignattara. Nelle borgate di Centocelle, Tor Pignattara, Pigneto, Certosa e Quarticciolo l’organizzazione territoriale era simile a quella del Quadraro. C’è da aggiungere che molte famiglie romane, pur non aderendo formalmente alla resistenza, nascosero renitenti alla leva, militari italiani sbandati o prigionieri di guerra alleati, ricevendo per questo riconoscimenti ufficiali dopo la fine del conflitto bellico.

Il Quadraro logisticamente posto tra due comandi militari, quali l’aeroporto di Centocelle e Cinecittà, come abbiamo sottolineato divenuto campo di concentramento per gli internati alleati, ed avendo una notevole capacità di organizzazione clandestina fu ritenuta un seria minaccia dai nazisti, tanto da essere inserito nel piano di evacuazione dei quartieri più pericolosi della città.

Parlare oggi di Resistenza vuol dire non dimenticarsi del nostro passato, della nostra storia locale e nazionale, del diritto alla libertà di opinione che con un caro prezzo di sangue è stato pagato. Parlare oggi di Resistenza vuol dire continuare a manifestare disappunto insieme, nei confronti di chi propone politicamente scelte sommarie senza interpellare le comunità territoriali.

Parlare oggi di Resistenza vuol dire comprendere che la diversità di opinioni, di colore, di racconti, di status e di culture costituisce la ricchezza stessa del nostro costume e della nostra storia che continua ad evolversi e a renderci ancora una volta un popolo di navigatori. Parlare oggi di Resistenza vuol dire ancora, come ieri, opporsi a chi ha la forza e non la ragione.

De Cesaris W., La borgata ribelle – il rastrellamento del Quadraro e la resistenza popolare a Roma, Odradek, Roma 2004
Moellhausen E. F., La carta perdente: memorie diplomatiche 25 luglio 1943 – 2 maggio 1945, Sestante, Roma 1948
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