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la Repubblica 29 LUGLIO 2013

L'ex ufficiale delle SS condannato per il massacro delle Fosse Ardeatine, non ha mai chiesto scusa La rappresaglia per l'attentato di via Rasella: Kappler compilò la lista delle vittime, Erich la batté a macchina

 

Mai una parola di pentimento per il proprio passato, mai un'espressione di comprensione per le vittime o le loro famiglie: per quasi cento anni anni Erich Priebke è rimasto fedele a se stesso, ed a quello che ha fatto. Cioè: aver partecipato al massacro delle Fosse Ardeatine, aver partecipato fin dai suoi inizi alla campagna di soppressione fisica degli oppositori politici del nazismo voluta da Adolf Hitler in Germania, averla proseguita in Italia fino al giorno stesso dell'arrivo degli americani a Roma il 4 giugno 1944.La storia dell'"uomo che spuntava la lista" inizia in un sobborgo di Berlino, negli anni immediatamente successivi alla disfatta nella Prima Guerra Mondiale. Famiglia modesta, studi in un istituto alberghiero, un primo soggiorno a Londra ed uno a Sanremo, come cameriere. Sembra che tutto inizi di lì, dall'amicizia con un maestro di sci che lo introduce al verbo del nazionalsocialismo. Lui, Priebke, sostiene invece di essere sempre stato un uomo come tanti, un semplice esecutore di ordini, uno che il poliziotto lo faceva perché doveva sbarcare il lunario, ed in fondo si trattava di un mestiere onorevole. Una sistemazione dignitosa: il ruolo perfetto in una società perfettamente piccolo borghese - quella tedesca dell'epoca - che faceva del decoro apparente l'unità di misura della rispettabilità. Il terreno di coltura dove attecchiva, mentre il giovane Erich entrava nelle forze di polizia di Berlino, la banalità del male.  Il fatto è che lui entrava nella polizia di Berlino, e subito dopo confluiva nella Gestapo: la polizia segreta del regime. Di più: come rivelò all'epoca del processo l'AGI andando a cercare nei National Archives di Washington, Erich Priebke venne inquadrato nel Gestapa. Il Gestapa ("Geheim Staatspolizei Amt") era l'ufficio preposto all'individuazione ed alla schedatura degli oppositori del regime nazista. Si trattava soprattutto di comunisti, cattolici e socialdemocratici. A partire dal 1937 le SS, cui Priebke aveva nel frattempo aderito, iniziarono a rastrellarli. Finirono, a decine di migliaia, nel primo campo di sterminio del regime, quello di Sachsenhausen.Sempre nel 1937 il Giovane Erich dette una duplice svolta alla propria vita: sposò la ragazza di cui era innamorato e se ne andò a Roma, a fare da interprete ad Adolf Hitler in persona in occasione della visita ufficiale da Mussolini. A Roma sarebbe tornato un anno dopo, questa volta in pianta stabile, alle dipendenze di Villa Wolkonski, l'ambasciata tedesca presso il Regno d'Italia. Qui conobbe l'uomo al quale il destino lo avrebbe legato: Herbert Kappler, giovane ufficiale delle SS anche lui, anche se di un grado superiore. Cosa facessero in realtà i due a Roma non si sa bene. Si sa che ad un certo punto un autorevole esponente della nobiltà nera romana gli affittò per pochi soldi una palazzina, uso ufficio, nei pressi di San Giovanni. A Via Tasso, dopo l'Otto Settembre, i capi della Resistenza romana venivano portati, torturati, qualche volta costretti a confessare. Spesso morivano. In fondo lo stesso mestiere, per Priebke, dei tempi della Gestapo.Lui e Kappler stavano percorrendo a piedi la breve strada che unisce Villa Wolkonski a Via Tasso, il 23 marzo 1944, quando seppero dell'attentato a Via Rasella. Hitler ordinò prima la distruzione di Testaccio e San Lorenzo, poi si optò per la rappresaglia del 10 a 1: dieci fucilati per ogni tedesco ucciso. A fare la lista, nel corso di una notte, fu Kappler. Priebke batteva a macchina.
Si scelse prima tra i Todeskandidaten, quelli che tanto avrebbero dovuto morire comunque. Non bastavano: si decise di svuotare tutto il carcere, lasciando quelli le cui confessioni eventuali potevano servire al lavoro di intelligence politica Ma a morire dovevano essere in 330, ed anche così la lista non era completa. C'erano degli ebrei appena rastrellati, tra cui i sette Spizzichino. Sul camion, anche loro. Ma ancora restavano dei posti vuoti. Kappler e Priebke andarono dal prefetto repubblichino di Roma, Caruso, che consegnò una serie di criminali comuni, o solo gente in normale stato di fermo. Alla fine sui camion finirono in 335, contro i 330 inizialmente previsti. L'organizzazione di Via Tasso aveva funzionato anche troppo efficacemente Nemmeno 24 ore dopo l'attentato di Via Rasella quattro camion partirono da Via Tasso e Regina Coeli, presero l'Appia Antica e girarono a destra, sull'Ardeatina. Qui c'erano delle vecchie cave di tufo, utilizzate l'ultima volta alla fine dell'Ottocento. I prigionieri venivano fatti scendere, legati gli uni agli altri per le mani, a gruppi di cinque. Priebke spuntava i loro nomi dalla lista. Loro entravano nella grotta, si avvicinavano cinque SS, puntavano il fucile alla nuca e sparavano. Agli ufficiali toccò il primo turno di prigionieri: dovevano spronare la truppa a fare altrettanto.Una volta eliminato un gruppo di condannati, il successivo entrava, era costretto a salire sui corpi di quanti erano già stati uccisi, poi le cinque SS appoggiavano la canna del fucile alla nuca e sparavano. Gli ultimi entrarono che quasi non c'era più posto: la catasta dei morti arrivava fino al soffitto. Furono costretti a salire fino in cima. Uccisi anche loro, i nazisti se ne andarono facendo saltare l'ingresso della cava. Non mancarono di buttarci davanti un mucchio di immondizia, per coprire l'odore.(AGI) Nic (Segue)Il massacro venne scoperto, tempo dopo, da un gruppo di bambini che si era avventurato nella zona per giocare.
Al processo, cinquant'anni dopo i fatti, Priebke si difenderà dicendo di essersi limitato a spuntare i nomi dalla lista. Ma già Kappler, che nell'Italia del dopoguerra era stato arrestato, condannato, ricoverato al Celio e che aveva fatto in tempo a fuggire con l'aiuto della moglie per morire libero in Austria, aveva confermato che anche gli ufficiali avevano sparato.Le ricostruzioni provano poi che ci fu il caso di un caporale, Wetjen, che ad un certo punto si rifiutò di continuare. Kappler gli mise la mano sulla spalla, lo tranquillizzò, e lo indusse a continuare. Ma per quell'atto di insubordinazione il Caporale Wetjen non venne mai punito. Per ristabilire l'ordine Kappler ordinò un altro giro di esecuzioni anche per gli ufficiali. Tutti spararono una seconda volta. Il 3 giugno successivo si sparse la voce che gli Alleati erano alle porte di Roma. Per tutta la notte gli abitanti del quartiere San Giovanni videro alzarsi lunghe lingue di fuoco dal giardino retrostante la prigione di Via Tasso: erano Priebke a Kappler che bruciavano le carte dell'archivio. La mattina susseguente gli americani entrano dall'Appia e dalla Casilina, loro fuggono dalla Cassia, verso nord. Si dividono. Priebke continuerà nella sua opera prima a Verona e poi a Brescia.Dopo la guerra Priebke sparì di circolazione. Finì a Bolzano, dove si fece battezzare da cattolico, poi con un passaporto ottenuto probabilmente grazie alla complicità di Monsignor Hudal (il parroco della Chiesa di Santa Maria della Pace a Roma, che per questo genere di attività non venne mai ricevuto in Vaticano da Pio XII) si imbarcò a Genova su una nave diretta a Buenos Aires. Qui il cerchio sembra chiudersi, perchè Priebke torna al mestiere di gioventù: un giornalista italiano lo incrocia per caso, nel 1954, in un bistrò della capitale argentina. Serve ai tavoli. Pochi anni dopo si trasferisce con tutta la famiglia a San Carlos de Bariloche, in mezzo alle Ande argentine che proprio in quegli anni ispirano a Walt Disney la meravigliosa foresta di Bambi. Inizia una nuova vita, trova la prosperità, possiede una clinica privata. La mattina del 12 maggio 1994 una troupe americana lo ferma per la strada. "E' lei Erich Priebke?", chiede Sam Donaldson della Abc. "Sì", risponde lui. E' il momento dei conti con la storia. Il doppio processo in Italia si conclude con la condanna ad una lunga pena detentiva, da scontare agli arresti domiciliari. Lui viene ospitato sulle prime in un convento, poi il suo procuratore lo porta a casa sua, in un piccolo appartamento di un quartiere romano. E' la metà di un dicembre di qualche anno fa. I vicini di casa accolgono quest'uomo che non ha mai mostrato la minima emozione, il minimo pentimento, per non dire una parvenza di turbamento, con uno striscione sulla facciata del palazzo: "Buon Natale, assassino"

di Francesco De Leo
Newsletter quindicinale. 12 ottobre 2023
14 OTTOBRE 2023AGGIORNATO 08 NOVEMBRE 2023 

Questo numero di Storie di Storia è dedicato ad uno dei momenti più bui della storia del nostro Paese. Il 16 ottobre del 1943, i nazisti, con la collaborazione dei funzionari del regime fascista, diedero inizio al rastrellamento degli ebrei nel Ghetto di Roma. 1.259 persone (689 donne, 363 uomini e 207 bambini) furono deportate su camion militari in quello che sarà ricordato come il Sabato Nero. Come ha scritto nel suo ultimo editoriale il direttore de La Repubblica, Maurizio Molinari, “I pogrom come le stragi naziste avvenivano durante i giorni di preghiera, nella convinzione di andare a colpo sicuro, con più ebrei da uccidere”. Fu così quel 16 ottobre del ‘43, è stato così lo scorso 7 di ottobre 2023, perché - come scrive Molinari - “la Jihad ripropone oggi contro gli israeliani le più efferate metodologie di eliminazione degli ebrei con l’intento di scaraventare sulle vittime un odio superiore ad ogni immaginazione, al fine di precipitare nel terrore un popolo intero ed obbligarlo a fuggire, ponendo fine all’esistenza dello Stato ebraico”. Assieme al racconto su quei fatti dello storico Claudio Vercelli, leggerete l’analisi di Ruben Della Rocca sull’odio anti ebraico ad 80 anni dall’inizio delle deportazioni e dello sterminio degli ebrei in Italia, nei giorni della guerra terroristica lanciata da Hamas a Israele. Per non dimenticare. Buona lettura.

16/10/1943 IL SABATO NERO

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LA STORIA

Di Claudio Vercelli (Storico contemporaneista, docente a contratto all’Università Cattolica di Milano)Il 16 ottobre 1943 non rimane solo il giorno della vergogna ma anche un chiaro richiamo ad un luogo dell’ignominia. Quel sabato, consacrato al riposo nell’ebraismo, nell’Italia occupata dai nazifascisti, si compì uno dei peggiori crimini che la nostra storia nazionale possa ricordare: la cattura di una rilevante parte degli ebrei romani. L’azione venne poi conosciuta anche come «rastrellamento del ghetto di Roma». Era tale poiché si concentrò nella capitale, avendo come tragico epicentro via del Portico d’Ottavia come anche le aree immediatamente adiacenti al pari di altre zone della città. Tra le cinque e mezza del mattino e il primissimo pomeriggio, 1.259 cittadini (per metà donne, per più di un quarto uomini e per la parte restante minori), appartenenti alla «razza ebraica», così come il regime fascista già nel 1938 si era incaricato di definirli, venne arrestata. Ad adoperarsi in tale ruolo vi erano non solo i militari germanici appartenenti alle SS e alla polizia ma, come sempre capita nei sistemi di occupazione, anche funzionari della Repubblica sociale italiana, un regime fantoccio creato poche settimane prima - dopo i fatti sconvolgenti dell’8 settembre, e quindi della firma dell’armistizio con gli Alleati - per garantire il controllo germanico dell’Italia non ancora liberata. Si trattava di un’evidente prova di forza tra poteri, avendo come preda un indifeso numero di persone, quasi tutti cittadini italiani, in quella che è la città per eccellenza del cattolicesimo nonché la capitale di un Paese che era stato la culla del fascismo prima per poi divenire l’alleato, tra il 1940 e il 1943, del nazionalsocialismo nella guerra di sterminio. Delle 689 donne, dei 363 maschi e dei 207 bambini catturati, ben 1.023 furono deportati ad Auschwitz. Di essi, ne sopravvissero sedici (tra i quali una sola donna, Settimia Spizzichino). Poco prima di avviare in un convoglio merci quanti erano inesorabilmente destinati alla morte, secondo la rigida contabilità tedesca, basata su leggi e disposizioni inappellabili, furono rilasciati i componenti delle cosiddette famiglie di «sangue misto». Il macello, per capirci, doveva avvenire in maniera sistematica. Quindi, con metodo e non certo per via di un agire casuale, dettato dal momento. Nella logica nazista, non si trattava di esercitare una vendetta ma di trasformare l’Europa nella sua composizione sociale e demografica. Gli ebrei, espressione più infima e pericolosa delle «razze inferiori», dovevano essere cancellati. Ovunque. La presenza ebraica a Roma datava a due secoli prima della nascita di Gesù. Si trattava del cuore popolare di quella che nel mentre era divenuta la capitale dell’Italia. Con essa, quindi, della Penisola intera. Non a caso, nel primo autunno del 1943, la stima degli ebrei presenti in città, che assommava i residenti, come tali censiti e registrati alle anagrafi, i rifugiati ed eventuali clandestini (per ragioni politiche, oltre che legali e amministrative) portava ad oltre diecimila il numero di persone interessate. I tedeschi ne erano ben consapevoli. Nella sua perfidia politica, inoltre, Berlino sapeva perfettamente che Roma era una città nella quale la presenza della Santa Sede costituiva un elemento di ulteriore rilevanza, in ragione del quale misurare gli effetti di un’azione di forza quale sarebbe stato il sequestro e la deportazione della sua popolazione ebraica. Non a caso, già il 10 settembre Herbert Kappler, comandante della Gestapo e del servizio di sicurezza delle SS nella capitale italiana, aveva ricevuto dai suoi superiori l’ordine di dare corso con celerità e determinazione alle operazioni antiebraiche. Il 26 settembre, veniva quindi intimato ai presidenti della Comunità ebraica romana e a quello dell’Unione delle comunità israelitiche di consegnare, in non più di trentasei ore, cinquanta chilogrammi d’oro, pena la deportazione di duecento maschi. Il taglieggiamento si risolse con la consegna di quanto richiesto. Nei primi giorni di ottobre un gruppo di uomini comandati da Theodor Dannecker, collaboratore di Adolf Eichmann, giunse nella capitale. Il suo compito era precisamente quello di organizzare la cattura degli ebrei. Al presidio originario si aggiunsero altri specialisti della «soluzione finale della questione ebraica». Ognuno di essi aveva già maturato un’esperienza in tale senso. operando nell’Europa orientale. A loro disposizione vi era la documentazione così come l’apparato logistico necessari per assolvere ad un tale compito. Il 14 ottobre Kappler ordinò il saccheggio dei beni conservati nelle biblioteche della comunità e del collegio rabbinico, oltre agli elenchi degli iscritti. Nel mentre, il comandante del campo di Auschwitz, Rudolf Höss, riceveva la comunicazione che entro una settimana sarebbe arrivato il convoglio da Roma con almeno un migliaio di deportati. All’alba di sabato 16 ottobre alcune centinaia di uomini della polizia d’ordine tedesca procedettero quindi ad una sistematica azione di rastrellamento, usando le liste del censimento degli ebrei in Italia, fatte redigere da Mussolini nel 1938, insieme a tutti i documenti anagrafici a disposizione. La procedura era sempre la medesima: gli uomini, perlopiù appartenenti a reparti di riservisti e già impegnati nella sorveglianza del territorio urbano, dovevano bloccare le vie di accesso nelle zone sottoposte a sistematico controllo, per poi procedere al rastrellamento di isolato in isolato e di condominio in condominio. Si trattava, ancora una volta, di un’azione concertata, destinata ad essere eseguita con il massimo coordinamento e la maggiore celerità possibile, per spiazzare le vittime, impedire le fughe e neutralizzare qualsiasi tipo di reazione. Malgrado le scene disperate che si ripeterono, i militari non dovettero fare ricorso alle armi se non come strumento di intimidazione. I 1.259 catturati furono quindi trasportati al Collegio militare di Palazzo Salviati, dove vi rimasero una trentina d’ore. Così commentava Kappler, in un rapporto: «in relazione all’assoluta sfiducia nella polizia italiana, per una simile azione, non è stato possibile chiamarla a partecipare. […]. Dopo la liberazione dei meticci e degli stranieri (tra questi un cittadino vaticano), delle famiglie di matrimoni misti compreso il coniuge ebreo, del personale di casa ariano e dei subaffittuari, rimasero presi 1.007 giudei. Il trasporto [è] fissato per lunedì 18 ottobre ore 9». La popolazione romana, laddove avvertita di quanto stava succedendo, si adoperò, ove possibile, per mettere in salvo i fuggitivi, sottraendone un certo numero dalle grinfie naziste. Una donna cattolica, che aveva in affido un giovanissimo ebreo, molto malato, decise di non abbandonarlo, seguendone quindi la sorte. I deportati, nella mattinata del 18 ottobre, furono trasferiti alla stazione Tiburtina dove li attendeva un convoglio composto da diciotto carri bestiame. Alle 14 il treno, scortato da una ventina di membri della polizia d’ordine tedesca, partì, per arrivare quindi ad Auschwitz nella tarda serata del 22 ottobre. All’alba del giorno successivo, i portelloni furono aperti. Nel mentre già un paio di persone anziane erano decedute. Alla selezione, all’ingresso di Birkenau, 820 vittime furono giudicate inabili al lavoro, condotte alle camere a gas e assassinate. La parte restante fu utilizzata nei lavori forzati, anche in altri campi, nei quali vi perirono pressoché quasi tutti, con l’eccezione di sedici sopravvissuti. Il numero complessivo degli ebrei deportati di religione ebraica nel periodo dell'occupazione tedesca di Roma fu di 2 091 (dei quali 1 067 uomini, 743 donne e 281 bambini). Sopravvissero in 101. Il Vaticano, venne informato in tempo reale di quanto stava succedendo «sotto gli occhi del Padre Comune». Fu anche lasciato intendere che se i rastrellamenti fossero proseguiti, Pio XII avrebbe forse potuto pronunciarsi pubblicamente contro di essi. I tedeschi, al riguardo, pur essendo determinati nei loro obiettivi, intendevano garantirsi il maggiore silenzio possibile e, con esso, il minore clamore. Neanche la richiesta del rilascio degli ebrei battezzati venne comunque soddisfatta. Di fatto il Papa tacque, o si espresse per interposti strumenti, come nel caso di un articolo sull’«Osservatore romano», pubblicato il 26 ottobre, dove ci si esprimeva al riguardo in termini comunque incomprensibili per coloro che non avessero conosciuto dal vivo i tragici eventi. Mentre invece il pontefice indicò la necessità di dare soccorso ai perseguitati. Anche da ciò, quindi, il riparo clandestino offerto, fino alla liberazione di Roma il 4 giugno, di 4.447 ebrei nei conventi e nelle strutture religiose capitoline.

LA SCHEDA

Il Ghetto di Roma

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Nel medioevo e nel rinascimento le città erano divise in zone abitate in genere da gruppi uniformi per provenienza oppure per mestiere. Anche gli ebrei facevano in modo di vivere vicini fra loro, in strade o quartieri chiamati giudee o giudecche. La vicinanza era motivata da rapporti di parentela e di conoscenza, e dalla prossimità ai servizi comuni come, nel caso degli ebrei, la sinagoga, le macellerie kasher e il bagno rituale. Questi quartieri erano parte viva e integrata delle città. Nel Cinquecento, invece, i governanti decisero in molti luoghi di chiudere gli ebrei dentro a un ghetto, ossia un quartiere-prigione, un recinto chiuso da muri e cancelli, impedendo loro di fissare liberamente la loro residenza, e limitando la loro libertà con divieti di ogni sorta, come quello di fare determinati mestieri. Questo fenomeno è collegato all’espansione dell’Islam, all’avanzare della Riforma protestante e alle contromisure prese dagli stati cattolici, con la Controriforma, in nome di una fede più rigorosa, che imponeva la separazione dagli eretici e da tutti coloro che vivevano nell’errore e nel peccato. Il 14 luglio 1555 papa Paolo IV Carafa promulgava la bolla Cum Nimis Absurdum. “Essendo davvero assurdo” che gli ebrei vivessero insieme ai cristiani, venivano elencate regole tali da separarli per secoli. Veniva dunque istituito, sulla riva del Tevere dove il fiume spesso straripava, un ghetto, una zona recintata con due cancelli, e al suo interno un solo edificio per la sinagoga. Tutti gli ebrei dovevano esservi radunati, anche quelli che vivevano nelle campagne intorno a Roma. Gli ebrei dovevano vendere le loro case, anche quelle all’interno del Ghetto, e pagare un affitto. Ne derivò una speculazione immobiliare da parte di istituti religiosi e famiglie nobili, poi appena mitigata dall’introduzione dello jus gazagà, una sorta di equo canone. Gli ebrei dovevano indossare un segno giallo per distinguersi, e non potevano avere servitori cristiani. I medici ebrei non potevano curare i cristiani, i commercianti potevano vendere solo oggetti usati, e ai prestatori di denaro venivano imposti vincoli per favorire i Monti di Pietà cristiani. I pontefici successivi modificarono queste disposizioni, in positivo come Sisto V o in negativo come Pio VI, ma comunque il ghetto durò dal 1555 al 1870, con brevi interruzioni per l’arrivo degli eserciti di Napoleone (1798-1799; 1808-1814) e durante la Repubblica Romana (1848-1850). Dall’epoca del papato di Gregorio XIII (1577) gli ebrei venivano obbligati ad assistere, preferibilmente di sabato, alle prediche coatte. Durò fino all’Ottocento anche la triste pratica dei battesimi forzati. Il battesimo veniva a volte amministrato ai bambini anche contro la volontà dei genitori; dopo la conversione era impedito per sempre ogni contatto con la famiglia, e il ritorno alla fede ebraica veniva considerato eresia e punito con la morte. Dal 1466 furono organizzate, durante il carnevale, gare di corsa riservate agli ebrei. Presto questi spettacoli divennero disonoranti, con gli ebrei costretti a correre nudi e bersagliati dal fango, e nel 1668 vennero aboliti.

Fonte: I tesori del Museo Ebraico di Roma, Daniela di Castro, Araldo De Luca Editore 

L’ANNIVERSARIO

L’odio anti ebraico 80 anni dopo

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Di Ruben Della Rocca (Già Vicepresidente della Comunità Ebraica di Roma).

È un anniversario triste quello che ci apprestiamo a vivere con gli 80 anni dall’inizio delle deportazioni e dello sterminio degli ebrei italiani nei campi della morte nazisti della seconda guerra mondiale. Quest’anno il numero tondo acuisce il dolore. Un dolore che diventa insopportabile e carico di angoscia per quanto sta accadendo in Israele in questi giorni ed in queste ore. Centinaia di morti, migliaia di feriti, decine e decine di bambini, giovani, anziani, soldati e civili rapiti e deportati a Gaza, colpevoli solamente di essere ebrei e di amare la vita, la libertà e la democrazia. Gli scempi delle SS nel 1943 ripetuti da Hamas in questi giorni con la stessa identica matrice, un odio profondo e viscerale contro gli ebrei. 80 anni rappresentano la vita di un uomo nella sua Interezza eppure sembrano un soffio davanti all’intramontabile dimensione della tragedia. Sarà una giornata intensa vissuta sull’onda delle emozioni, un momento di riflessione condiviso assieme alle più alte cariche dello Stato, in Italia ed a Roma, città colpita mortalmente in quelle giornate così nefaste non solo per i cittadini di religione ebraica vittime del rastrellamento, della cattura e delle persecuzioni, ma per tutti i cittadini che ne vivranno ricordo con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Non possiamo però esimerci dal compiere riflessioni e lanciare allarmi sulla situazione attuale dell’antisemitismo nel nostro paese e nel mondo. Se quel motto “MAI PIÙ” è risuonato nel cuore e nelle menti di tanti, ripartendo proprio dalle ceneri di Auschwitz, nel pensiero di un vecchio continente unito e solidale, proprio dall’Europa che speravamo ormai immune e vaccinata da stereotipi, discriminazioni ed odii antiebraici, dalle nostre città che hanno vissuto il dramma delle persecuzioni, riparte quel magma virale che rischia di diventare una eruzione incontrollabile. Gli episodi di antisemitismo in Europa già prima della pandemia, nel triennio 2017/2019 avevano vissuto un deciso incremento. La fonte di tale odio ha varie matrici culturali: dai movimenti suprematisti e nazifascisti al crescente sentimento antiebraico degli immigrati dai paesi arabi di seconda e terza generazione nati in Europa, fino ai movimenti politici antisionisti. Quel che desta maggiore preoccupazione è l’adesione ideologica, in larghi strati dell’opinione pubblica al punto tale, per questi movimenti, da riuscire ad inserire loro esponenti nelle istituzioni e nei parlamenti di molti paesi. I dati post pandemia sono ancora più crescenti e segnalano un aumento ulteriore degli stereotipi gravi ed infamanti:

-Gli ebrei controllano media e finanza
-Gli ebrei sono tutti ricchi e si aiutano tra loro
-Gli ebrei non sono fedeli alla nazione dove vivono
-Israele è uno stato illegittimo e perseguita i palestinesi
-Israele è uno stato nazista e si comporta con i palestinesi come i tedeschi facevano con gli ebrei
-Gli unici ebrei buoni sono quelli che accusano Israele e lo boicottano, gli altri sono complici di uno stato criminale e di conseguenza cattivi

Le fake news di matrice suprematista sono quelle sfociate negli atti di odio più gravi come l’attacco alla sinagoga di Halle in Germania durante il Kippur dell’ottobre 2019. Le teorie del complotto giudaico sono state fin dai primi mesi della comparsa del Covid linfa per i No Vax ed altri movimenti simili, con gli ebrei cospiratori nel creare il virus e allo stesso tempo vendere i vaccini. Uno degli studi più recenti, datati 2019, ad opera dell’Anti Defamation League, individua nel nostro paese come 8.900.000 gli italiani con pregiudizi antisemiti, di cui il 43% è di religione musulmana e il 14% nella fascia giovanile. Lo stesso Osservatorio per la Sicurezza contro gli atti discriminatori del Ministero degli Interni italiano conferma in uno studio svolto tra il 2016 ed il 2021 un incremento degli atti discriminatori etnico/razziali e religiosi ed il 17% di essi di matrice antiebraica. Considerati i numeri della presenza ebraica nella nostra penisola una percentuale considerevole. La fonte CDEC (Centro di documentazione ebraica contemporanea) ci informa che nel 2022 gli atti antiebraici sono stati 241 contro i 226 dell’anno precedente tra aggressioni, vandalismo, minacce, graffiti, diffamazione e antisemitismo nei media. Uscendo dai nostri confini nazionali uno studio della Anti Defamation League del 2023 su alcuni paesi europei segnala un forte aumento dell’odio antiebraico soprattutto in quelle nazioni dell’est dove i nazionalismi hanno preso il sopravvento. Polonia e Ungheria su tutti con un antisemitismo viscerale di stampo cattolico e populista e ultra nazionalista che vede nell’ebreo il “diverso” nemico della patria, mentre Francia e Regno Unito subiscono l’influenza dell’antisemitismo musulmano mascherato da antisionismo ed odio per Israele. Proprio la Francia ha visto i casi più eclatanti di odio antiebraico tramutarsi in assassini efferati come l’omicidio della anziana ebrea Mirelle Knoll nel 2018 da parte di un giovane vicino di casa islamista e di Sara Halimi ancora prima, nel 2017, picchiata brutalmente e scaraventata dalla finestra dal figlio musulmano radicalizzato di una vicina di casa ed ancora prima di Ilan Halimi seviziato, torturato e ucciso da una banda di giovani musulmani in quanto ebreo nel 2006. Non vanno meglio le cose in Belgio, dove secondo una inchiesta dell’Express, viene messo in luce come nelle scuole le discriminazioni contro gli studenti ebrei siano all’ordine del giorno, soprattutto causate dai studenti musulmani preponderanti nel numero. Ed intanto nei civilissimi paesi scandinavi si passa dalle profanazioni dei cimiteri ebraici in Danimarca nel 2019 ai successi elettorali in Svezia di partiti che si rifanno all’estrema destra, con una ricerca della società Acta Publica che rivela come siano 289 i politici svedesi che hanno avuto comportamenti o attività di stampo razzista o nazista, 240 di loro appartenenti ai democratici svedesi di Jimmie Akesson che all’ultime elezioni hanno preso il 20,5% dei consensi ed ora appoggiano il governo in carica mentre ancora più a destra non mancano formazioni di suprematisti come il Nordfront I cui militanti sfilano con divise che ricordano quelle naziste e soprattutto quelle dei suprematisti americani, al punto che in Finlandia la stessa organizzazione attiva in tutta la Scandinavia è stata dichiarata illegale e contro l’ordine democratico. Non di poco conto atti delinquenziali di questi estremisti come quelli del bruciare il Corano in piazza ed il tentativo di fare la stessa cosa con la Torah, il Pentateuco ebraico. Dulcis in fundo nella nostra cara e vecchia Europa quei partiti di ispirazione neonazista che in Germania ed Austria come l’AFD hanno ripreso un forte vigore e che, secondo un report di RIAS nel 2022 e come denunciato dalle comunità ebraiche tedesche, con i 2400 episodi antisemiti ,il 21% dei quali compiuto da estremisti di destra o populisti uniti a quel 7% di manifestazioni anti israeliane, ripropongono drammaticamente la questione ebraica il quel paese che tentò di risolverla con la “soluzione finale” degli anni del Terzo Reich. Il quadro poco edificante del nostro continente si chiude con Russia ed Ucraina dove i battaglioni Wagner da un lato e Azov dall’altro si distinguono per il neonazismo che li ispira e con movimenti e partiti come il Partito Nazional Socialista Russo composto da elementi fuoriusciti dal vecchio Pamyat, in un misto di ultrà nazionalismo e fedeltà quella chiesa ortodossa che anche in Polonia e Grecia soffia troppo spesso sul fuoco dell’antisemitismo più bieco. E così mentre in Europa la situazione sopra descritta crea preoccupazione, negli USA lo scenario è ancora più inquietante. Nella terra che si considera delle libertà il razzismo non è mai mancato, con movimenti come il Ku Klux Klan ormai sorpassato a destra da suprematisti e neonazisti di ogni risma. Tristemente famosa la marcia dei suprematisti nell’Università della Virginia, dopo gli scontri di Charlottesville, nell’agosto del 2017 al grido di “Gli ebrei non ci rimpiazzeranno” e del motto nazista “Terra e suolo” sulla purezza della razza ariana. Dal 2018 numerosi poi gli attacchi a centri ebraici, tanto da parte di singoli “lupi solitari” quanto di gruppi organizzati come quelli dell’aprile 2019 alla sinagoga Chabad di San Diego con una donna uccisa e numerosi feriti o quello di Pittsburgh alla sinagoga “Tree of life” dell’ottobre 2019 con 11 vittime o l’attacco al supermarket Kosher a Jersey City, in questo caso da parte di una gang afroamericana che fece 4 morti. Sempre citando uno studio dell’ADL negli Stati Uniti nel 2022 gli episodi antisemiti hanno avuto un incremento del 36%. In tutto questo marasma l’uso criminale dei social ad alimentare un odio profondo e costante ed una retorica tesa a banalizzare la Shoah, con luoghi comuni che hanno fatto presa sui gruppi anticapitalisti, antisistema e per finire sugli ultras degli stadi dove nelle curve, non solo in Italia la piaga antisemita è ormai conclamata, ma anche in Olanda ed in Inghilterra dove squadre come l’Aiax ed il Tottenham vengono continuamente fatte bersaglio di cori ed atteggiamenti antisemiti per le origini ebraiche dei team. Capitolo a parte andrebbe dedicato all’odio antiebraico nei paesi arabi con le decine di migliaia di ebrei espulsi, cacciati e vittime di pogrom nel 1967, a seguito della Guerra dei Sei Giorni o con le frequenti dichiarazioni improvvide di negazione o banalizzazione della Shoah del leader palestinese Abu Mazen, mentre uno dei best seller nelle librerie del Cairo è da anni il libello zarista antisemita e fake news per eccellenza “I protocolli dei Savi di Sion”. Hamas, Hezbollah e quei paesi ferocemente antisemiti come l’Iran, lo Yemen ed i tanti altri della galassia islamica meritano una riflessione più ampia e di natura geopolitica. In chiusura di questa panoramica degli orrori non è possibile non citare gli scivoloni continui della nostra classe politica, che dai semplici consiglieri municipali delle città fino ai parlamentari e ministri dei governi ci offrono continuamente perle di saggezza a sfondo antisemita, in un puzzle di affermazioni fatto di ignoranza, retorica e pregiudizio che tocca tutti gli schieramenti dell’arco costituzionale, nessuno escluso. Se non si cambiano modo di pensare, di comunicare e non si mettono al primo posto cultura e conoscenza non saranno mai le celebrazioni commemorative a sconfiggere il virus dell’antisemitismo e dell’odio antiebraico. L’unico vaccino a disposizione è l’educazione dei giovani nelle scuole, fin dalla tenera età. Usiamolo per curarci.

IL DOCUMENTO

ANALISI DELLO STATUTO DI HAMAS

The Meir Amit Intelligence and Terrorism Information Center

articolo 6 04

Lo Statuto di Hamas è il documento che definisce l’ideologia del movimento così come è stata formulata e affinata dai suoi fondatori. Include la visione radicale del mondo islamico (concepita dai Fratelli Musulmani in Egitto), che sostanzialmente non è cambiata nei 18 anni della sua esistenza. Per quanto riguarda Israele, la posizione della Carta è intransigente. Essa considera il “problema della Palestina” come una questione religiosa e politica musulmana e il confronto israelo-palestinese come un conflitto tra l’Islam e gli ebrei “infedeli” La “Palestina” è presentata come terra sacra dell’Islam ed è severamente vietato cederne un centimetro perché nessuno (compresi i governanti arabo-musulmani) ha l’autorità per farlo. Per quanto riguarda le relazioni internazionali, lo Statuto manifesta una visione del mondo estremista e anti-occidentale come Al-Qaeda e altre organizzazioni terroristiche. Questa visione del mondo porta con sé il rifiuto di riconoscere il diritto dello Stato di Israele a esistere come nazione indipendente e sovrana, il lancio di una jihad (guerra santa) incessante contro di esso e la totale opposizione a qualsiasi accordo o intesa che riconosca il suo diritto a esistere. All’inizio della Carta c’è una citazione attribuita a Hassan Al-Bana, secondo cui “Israele sorgerà e continuerà a esistere finché l'Islam non lo spazzerà via, come ha spazzato via ciò che lo ha preceduto”. L’antisemitismo palese e feroce, di matrice sia islamica che cristiano-europea, è ampiamente utilizzato per la creazione di un'associazione di difesa dei diritti umani. Anche gli ebrei sono presentati come degni solo di umiliazione e di una vita di miseria. Questo perché, secondo la Carta, hanno irritato Allah, rifiutato il Corano e ucciso i profeti (il versetto del Corano in questione, tratto dalla Surah Aal-‘Imran, è citato all’inizio dello Statuto). Il documento include anche miti antisemiti tratti dai Protocolli degli Anziani di Sion (citati nell’articolo 32) riguardanti il controllo ebraico dei media, dell’industria cinematografica e dell’istruzione (articoli 17 e 22). I miti sono costantemente ripetuti per rappresentare gli ebrei come responsabili delle rivoluzioni francese e russa e di tutte le guerre mondiali e locali: “Nessuna guerra ha luogo in nessun luogo senza che gli ebrei vi siano dietro” (articolo 22). La Carta demonizza gli ebrei e li descrive come brutali, come i nazisti, nei confronti di donne e bambini (articolo 29). Lo Statuto considera la jihad (guerra santa) come il modo per sottrarre tutta la “Palestina” agli ebrei e distruggere lo Stato di Israele, e gli attacchi terroristici di Hamas sono visti come anelli della catena della jihad portati avanti durante il conflitto israelo-palestinese. L'articolo 15 afferma che “la jihad per liberare la 'Palestina' è un dovere personale” di ogni musulmano, un'idea esposta da 'Abdallah 'Azzam. La Carta enfatizza la battaglia per i cuori e le menti dei musulmani o “la diffusione della coscienza islamica” all'interno di tre sfere principali: i palestinesi, i musulmani arabi e i musulmani non arabi (articolo 15). Il processo di promozione e diffusione di quest”"coscienza islamica” è definito come un’operazione di “sensibilizzazione”. Il processo di promozione e diffusione della “"coscienza islamica” (amaliyyat al taw aiyah) è definito come la sua missione più importante. I chierici, gli educatori, gli uomini di cultura, coloro che operano nei media e nei servizi di informazione e il pubblico generalmente istruito hanno tutti la responsabilità di portarla avanti (ibid.). Come parte della battaglia per i cuori e le menti, la Carta pone un’enfasi particolare sull'educazione [cioè l'indottrinamento] nello spirito dell'Islam radicale, basato sulle idee dei Fratelli Musulmani. Il sistema educativo nei territori amministrati dall'Autorità palestinese deve subire cambiamenti fondamentali: deve essere "purificato", epurato dalle "influenze dell'invasione ideologica portata dagli orientalisti e dai missionari" (articolo 15) e le giovani generazioni devono ricevere un’educazione islamica radicale basata esclusivamente sul Corano e sulla tradizione musulmana (la Sunnah). I mezzi utilizzati per il reclutamento ideologico, come specificato nella Carta, sono "libri, articoli, pubblicazioni, sermoni, volantini, canti popolari, linguaggio poetico, canzoni, opere teatrali, ecc. Se impregnati di credenze e cultura islamica "corretta", diventano un importante mezzo per sollevare il morale e costruire la fissazione psicologica e la forza emotiva necessarie per una continua "campagna di liberazione" (articolo 19). La Carta sottolinea l'importanza della solidarietà musulmana secondo i comandi del Corano e della Sunnah, soprattutto alla luce del confronto in atto tra la società palestinese e il "nemico terrorista ebreo", descritto come nazista. Una delle espressioni di questa solidarietà è l'aiuto ai bisognosi (una delle cui principali manifestazioni è la rete di varie "società caritatevoli" create da Hamas, che integrano attività sociali e sostegno al terrorismo). Lo Statuto delinea la differenza ideologica tra Hamas, con la sua visione radicale del mondo islamico, e l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, di orientamento laico, ma rende omaggio alla necessità dell'unità palestinese per affrontare il nemico ebraico. Il documento osserva che una visione islamica del mondo contraddice completamente l'orientamento laico dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina e l'idea di uno Stato palestinese laico. Tuttavia, si legge nella Carta, Hamas è pronto ad aiutare e sostenere ogni "tendenza nazionalista" che lavora "per liberare la Palestina" e non è interessato a creare scismi e disaccordi (articolo 27).

SEGNALAZIONI

Libri: Portico d’Ottavia 13, di Anna Foa, Roma, Laterza, 2013

Israele. Storia dello Stato, di Claudio Vercelli, Giuntina, 2023

Film: L’oro di Roma, Regia di Carlo Lizzani, con Irag Anvar, Gérard Blain, Paola Borboni, Andrea Checchi, Italia, Francia, 1961.

La trasmissione: A proposito di Shalom. Conversazione settimanale di Alessio Falconio (Direttore di RadioRadicale) con Ruben Della Rocca (Già Vicepresidente della Comunità ebraica di Roma) dedicata alle pubblicazioni del mondo delle comunità ebraiche.

Museo: Museo ebraico di Roma. Il Museo Ebraico di Roma è inserito nel complesso monumentale del Tempio Maggiore. Il percorso museale permette, attraverso la visita delle diverse sale, la ricostruzione della vita ebraica a Roma fin dai primi insediamenti, nel II sec. Prima dell’Era Volgare. La Comunità Ebraica vive a Roma da 2200 anni ininterrottamente: questa caratteristica la rende tra le Comunità più antiche presenti fuori dalla Terra d’Israele. Le opere esposte nel Museo, risalgono principalmente al periodo del Ghetto (1555-1870) e provengono interamente dal palazzo delle Cinque Scole o Sinagoghe. La ricchissima collezione comprende arredi liturgici, manoscritti, incunaboli, documenti storici, registri ed opere marmoree. Fin dal 1960 il Museo ha esposto i suoi tesori in un’unica sala, ma lo studio e la catalogazione di tutte le opere hanno richiesto una maggiore area espositiva ed un nuovo allestimento, inaugurato nel 2005. Il Museo copre un’area di 700 metri quadrati e si snoda in sette sale dai temi diversi. Offre la ricostruzione della vita della popolazione ebraica a Roma e ci mostra come questa sia riuscita a integrarsi nella compagine socio-economica della Città, pur mantenendo la propria identità.

Indirizzo: Via Catalana (Sinagoga), Roma

Telefono: +39.06.68400661

 

Siamo abitanti orgogliosi di questo pianeta che vivono con disaggio questa bellissima città in uno storico quartiere che è Medaglia d'oro al merito civile, fulgida testimonianza di resistenza all'oppressore ed ammirevole esempio di coraggio, di solidarietà e di amor patrio.

La resistenza continua
contro il degrado, la sciatteria degli amministratori, l'inciviltà, la precarietà di una esistenza che vuole essere altra.

Cosa desideriamo per il nostro Quadraro
Quartiere del VII (ex X) Municipio di Roma

Cose semplici, per tutti, vogliamo cose per il nostro Quartiere, cose che non ci sarebbe nemmeno bisogno di chiedere perché sono diritti di una città democratica che elegge i suoi rappresentanti in maniera democratica.

In questo spazio faremo l’elenco delle cose che desideriamo e scriveremo i nomi di chi riuscirà a realizzarle a prescindere da come la pensino e dal partito in cui militano.

Noi siamo pronti a collaborare con gli amministratori. Questo elenco è la prova!

Lista delle cose da fare per il Quadraro
(l’elenco è in continuo aggiornamento con le mail che riceveremo)

Scrivi il tuo desiderio per il Quadraro a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Ristrutturazione della salita del Quadraro
Pulizia e restauro della Fontana della salita del Quadraro
Accensione delle luci nello spartitraffico della salita del Quadraro
Valorizzazione della Memoria storica del nostro Quartiere
Strade spazzate
Recupero dell’edificio da sempre abbandonato in via Sagunto
Secchioni puliti, svuotamento quotidiano e sostituzione cestelli rotti
Riqualificazione di piazza del Quadraretto
Riqualificazione di Largo dei Levii
Trasferimento del Sart di via Sestlili in altro luogo e al suo posto una biblioteca
Risanamento di via Columella
Cancellazione delle scritte dai muri, strade e marciapiedi
Eliminazione Eternit come il tetto di via Cartagine davanti alla ASL
Abbattimento dei cartelloni pubblicitari
Pulizia di tutti i pali dalla pubblicità
Pulizia di tutti i muri dai manifesti
Rimozione di tutte le buche sull’asfalto
Opposizione a tutti i parcheggi abusivi
Centro sociale per gli anziani
Centro sociale per i giovani
Cinema Teatro di quartiere
Biblioteca
Consultorio efficiente per tutte le persone in difficoltà
Innesto di alberi e posizionamento piante per il quartiere
Rastrelliere di biciclette alle fermate della metro
Conservazione dei resti degli Acquedotti
Rinnovamento del mercato di piazza dei Tribuni
Sicurezza per tutto il quartiere
Una targa ricordo dove stava il cinema Quadraro, luogo di sogno collettivo di tutta la comunità.
Vogliamo delle panchine da posizionare in via dei Fulvi prima del semaforo con via Tuscolana, sia a dx che a sx (dove sono i parapedonali).
Piste ciclabili
Ci scrivono da via Sagunto:
Salve, questi sono i miei desiderata per il quartiere (abito in Via Sagunto), in aggiunta a quelli già scritti:

1) Imporre limiti di bassa velocità alle macchine che percorrono via Selinunte e via Erminio mediante segnaletica e dossi (come su via del mandrione). E' un problema importante e sentito da varie persone perchè le macchine sfrecciano su strade frequentate da bambini che vanno a scuola (Salvo D'Acquisto). Spesso si verificano incidenti agli incroci (alcuni sono stati gravissimi).

2) Sensibilizzazione e maggiori controlli (e multe) nei confronti delle deiezioni dei cani non rimosse. Incredibile a dirsi, ma passeggiando si fa lo slalom gigante per evitare lo spiacevole calpestamento.... Grazie per il vostro impegno! Cordiali Saluti. Gianluca C.

Ci scrivono da piazza del Quadraretto:
lista cose da fare per il Quadraro

1) Pulizia delle strade

2) Trasferimento Sart e riqualificazione della vicina piazza che adesso è vissuta solo dalle persone che frequentano il Sart. Non ti fanno neanche avvicinare alle panchine. Un giorno ho provato a sedermi con mio padre che non sta bene perché sta facendo la chemioterapia, ma ci hanno letteralmente cacciati!

3) Centro sociale per gli anziani, soprattutto per l’inverno.

G.C.

Dopo due anni di lotte è stato accertato che l’antenna della Wind di via Francesco Gentile è abusivaè abusiva.

Tanto affinché si sappia in giro della vittoria ottenuta dai cittadini organizzati nel Comitato Spontaneo “NO Antenna”- Cinecittà Est  contro l'installazione dell'antenna (SRB) di telefonia - gestore WIND in Via Francesco Gentile, 135.

Finalmente dopo tanto aspettare, e' stata pubblicata la sentenza di Merito del Ricorso al TAR indetto dai cittadini.

Esattamente un anno fa avevamo scritto di questa assurdo esempio di prepotenza. La vicenda risale al 17 dicembre 2011 quando venne posta velocissimamente l’antenna di una compagnia telefonica. Subito il popolo di Roma Est allora X Municipio ora VII, si ribellò. E’ mai possibile installare una cosa del genere quando nell'area circostante vi è un complesso scolastico con circa 1100 bambini di età compresa tra i 3 anni e i 14 anni? Si formò un battagliero comitato per contestare l’irregolarità dell’antenna  ricordando i possibili bombardati di onde elettromagnetiche. Riguardava tutti gli abitanti ma in particolare per i ragazzi che vanno a scuola, giocano nei parchi giochi vicini e abitano a 20-30 metri di distanza.

E’ ufficiale l'antenna sul palazzo di Via F. Gentile, 135 è abusiva. Giustizia e' fatta ed il Comitato Spontaneo No Antenna gioisce insieme a tutti i cittadini di Cinecittà Est che li hanno affiancati e supportati in tutte le loro battaglie e lotte per contrastare un "male invisibile" quale l'elettrosmog.

Il 27 gennaio, è stata pubblicata la sentenza di merito del Tar Lazio - Sezione II-Bis, con cui è stato accolto il ricorso per l’annullamento del titolo autorizzativo dell’antenna.

Una sentenza straordinaria di ventidue pagine, in cui si smonta passo dopo passo tutta la vergognosa vicenda, che dura ormai da due anni. Sono stati accolti tutti i rilievi presentati.

Stefania Di Stefano, battagliera Vice –Presidente del Comitato, entusiasma. I Cittadini di Roma Est quartiere del VII Municipio hanno vinto il sorriso è ritornato sui nostri visi!

Il Comitato, con loro comunicato fanno sapere: “La sentenza farà giurisprudenza nei termini in cui è scritta - primo caso a Roma - e, probabilmente, supererà anche i confini romani e laziali. Infatti, oltre a ritenere fondati gli elementi strettamente pertinenti al nostro caso, il Collegio si esprime chiaramente in merito a due elementi, che mutano di fatto l’orientamento della giurisprudenza in materia di inquinamento elettromagnetico:

1) Il Protocollo d’Intesa, sottoscritto tra i Gestori di telefonia e il Comune di Roma, pur collocandosi come fonte normativa secondaria rispetto alla normativa statale, è parte integrante del procedimento amministrativo e non può essere ignorato;

2) La distanza di 100 metri rispetto ai siti sensibili va comunque presa in considerazione, sia per edifici pubblici che privati, proprio nell’applicazione del principio prudenziale di precauzione con riferimento ai possibili danni per la salute pubblica.

La battaglia non è ancora finita, i Gestori potrebbero appellarsi al Consiglio di Stato, ma noi siamo pronti: non ci fermeremo mai!”

Angelo Tantaro

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