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Riporto un pezzo di Claudio D'Aquanno

«Il racconto del Bettini - attacca Imbergamo - inizia nel '47. Un gruppo di ragazzi che si vedeva nella sezione del Pci di via Cincinnato, dove oggi c'è la trattoria, decise di mettere su una squadra di calcio e mi chiese di fare da organizzatore. La cosa buffa è che io c'azzeccavo poco con le loro convinzioni politiche e in campo ero una schiappa ma di pallone ne capivo assai. Insomma ero considerato al di sopra delle parti e in grado così di spartire le litigate quotidiane. Comunque sia si stabilì una sottoscrizione di mezza lira a testa e si battezzò la squadra col nome del giornale dei comunisti: Unità Quadraro. Il punto di ritrovo era il Bar Carfagna, all'incrocio tra via dei Quintili e via dei Lentuli, mentre per allenamenti e partite ufficiali s'andava al Sant'Anna. E così al nostro primo torneo Uisp arrivammo in finale contro l'Andrea Doria di Lionello Cianca. Andò bene. Alla fine andò bene. Ma, proprio perché non eravamo un club di signorini o forse perché il Quadraro è il Quadraro, tutto prese subito una piega alquanto movimentata. C'avevamo infatti un portiere che era una saracinesca, tutti lo chiamavano Bandone, era una sicurezza assoluta ma quello alla vigilia non trovò di meglio che mettersi nei guai.
"A Li' - corsero a dirmi i suoi amici - se so' bevuti Bandone".
Per farla breve mi toccò d'andare a parlare col maresciallo dei carabinieri. Non so come feci, erano altri tempi, però alla fine lo convinsi e in campo scendemmo al completo, scazzottammo come al solito ma, di dritta o di storta, ci guadagnammo un posto per il girone nazionale a Bologna.»

Sul carattere ribelle di quei ragazzi cresciuti nel perimetro stretto di poche vie, tra l'ex sanatorio Ramazzini e i pratoni dell'aereoporto e la Tuscolana, c'è chi c'ha scritto libri. Loro avevano frequentato le imprese gappiste di Sasà e di Carla, di Marisa Musu o di Clemente Scifoni che un giorno di marzo bussò alla porta dell'odiato questurino Stampacchia scaricandogli il revolver addosso. S'erano fatti adulti tra la sfrontatezza sottoproletaria del Gobbo e le azioni degli uomini di Bandiera Rossa, tra le deportazioni naziste e le rappresaglie infami. E per liberarsi non avevano neppure aspettato gli americani. Ora, per quei "banditi del Quadraro", la voglia di riscatto sapeva anche di calci al pallone e contrasti a centrocampo. «A Bologna - riprende l'anziano presidente - arrivò un'altra carrettata di impicci. Non c'era verso di disciplinare quella brigata. Senonchè la voglia di farsi valere a un certo punto fu più forte delle minacce di essere rispediti a casa. Cominciammo a giocare e in finale ce la vedemmo con l'Alessandria, una formazione da serie A. Prendemmo una sveglia ma quel giorno era nata una società di calcio.»

Roberto Cerroni

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