Il desiderio di una obiettività, non certo assoluta (ciò non è possibile neppure nella valutazione del presente che pur ci è sotto gli occhi), ma almeno con un buon livello di attendibilità, ci ha spinto a ricercare alle fonti più autorevoli le descrizioni e le narrazioni dei fatti e degli episodi così da avere un quadro il più fedele possibile di un breve ma importante momento della storia del nostro quartiere.
Tale periodo è localizzato nei mesi a cavallo della fine del secondo conflitto mondiale, fra il 1943 ed il 1944.
Il fulcro, il punto focale dell’attenzione sarà, per noi, il rastrellamento del 17 Aprile del 1944 nel quartiere del Quadraro, un terribile atto della forza di occupazione nazista ai danni di uomini, donne, bambini, famiglie di un quartiere fatto di operai, modesti impiegati e gente del popolo.
Ma per capire nel modo più chiaramente possibile cosa è accaduto quel giorno, occorre conoscere e capire i fatti e le dinamiche relative al contesto, ed è proprio questo che abbiamo cercato di fare.
Il Quadraro, o meglio l’area compresa fra Via Tuscolana e Via degli Angeli a ridosso dell’acquedotto Felice, (questa precisazione è necessaria in quanto il toponimo Quadraro si riferiva, allora, a tutta la zona, in prevalenza agro romano, fra Porta Furba e gli attuali stabilimenti di Cinecittà) era, all’epoca dei fatti, un quartiere periferico caratterizzato da una stratificazione di stili urbanistici che, dapprima in modo pianificato e poi rapidamente e un po’ confusamente, lo hanno generato.
Il Quadraro Vecchio (lo chiameremo così per distinguerlo dal Quadraretto, al di là della Tuscolana) era nato trenta, trentacinque anni prima, all’inizio del novecento, con una lottizzazione semplice ma ordinata che lo aveva fatto diventare uno degli avamposti, assieme al più rurale Statuario, di un progetto di regime che intendeva realizzare un collegamento fra Roma e i Castelli, strutturato come una lunga fascia di piccole aziende agricole destinate a ricoprire il ruolo di area di produzione agricola (oggi diremmo biologica) per la capitale.
Gli eventi della guerra fecero perdere le tracce di questa iniziale impostazione.
Prima del conflitto l’area del Quadraro era considerata dal Governatorato di notevole importanza per lo sviluppo della città, ne sono testimonianza gli edifici della scuola elementare e media Umberto Maddalena (poi Carlo Moneta) di Via Diana (oggi succursale dell’istituto tecnico Jean Piaget); la “casa del fascio” di via dei Juvenci 6, nella quale era presente anche una sezione dei fasci femminili (la palazzina è oggi di proprietà privata) e l’istituto per l’infanzia di via dei Levii meglio conosciuto come: “la maternità”, significativo esempio di architettura razionalista, oggi sede di un consultorio per tossicodipendenze ed un asilo nido.
Il quartiere vantava ben due cinema: il “Folgore” e il “Quadraro”, il primo su Via dei Quintili, da decenni chiuso ma del quale la struttura ancora resiste con la sua facciata di tufo e la pensilina su cui alloggiava l’insegna; il secondo, che era anche teatro e arena, all’angolo di Via Tuscolana e Via dei Fulvi è oggi scomparso, demolito per far posto ad un “palazzone” del dopoguerra.
In realtà, in fatto di cinema, il Quadraro è stato un precursore. In un locale al piano terreno di via dei Lentuli, oggi sede di una carrozzeria, prima ancora che aprissero le due sale anzidette, si proiettavano film, probabilmente per iniziativa privata. Qualcuno afferma che fino a non molti anni fa, sulla parete di fondo del locale, ancora si vedevano alcuni frammenti della cornice di gesso che delimitava l’area di proiezione.
Poi c’erano l’ufficio postale e il mercato, moltissime osterie e trattorie, dai racconti degli anziani troviamo fiaschetterie; friggitorie -“…dove facevano delle rane da leccarsi i baffi!”-, insomma, negli anni che precedettero la guerra il Quadraro era un quartiere popolato, ricco di servizi e dove si viveva bene.
Il Piano Particolareggiato del 1938 (pensate, allora il Quadraro era già oggetto di un Piano Particolareggiato!), prevedeva, oltre la realizzazione del già citato collegamento fra città e Castelli Romani, la riqualificazione del “Monte del Grano”: il Mausoleo di Alessandro Severo; l’importante emergenza archeologica che il Quadraro vanta. Anche se di questo, ancor’oggi, ne è promosso più l’oblio che la riqualificazione.
Citiamo da: “Roma nei suoi quartieri e nel suo suburbio” di G. Ceroni, edito nel 1942:
Ma l'avvenire del Quadraro e di tutta la zona Tuscolana è già stato luminosamente fissato nei piani particolareggiati preparati fin dal 1938. Per tutta la zona delimitata da via Tuscolana, dagli impianti ferroviari. si e già previsto l'ampliamento: una nuova arteria di P.R. dall'Acquedotto Felice si dirigerà verso la Tuscolana sboccandovi in prossimità della Chiesa di Santa Maria Liberatrice [Ausiliatrice N.d.a.]. La rete stradale prevista (e in parte già in attuazione) contempla, tra l'altro, l'apertura di un tronco della grande arteria di Circonvallazione che, in prosecuzione di via Cesare Baronio ampliata, è destinata a collegare la zona Appia con la Casilina, attraverso la Tuscolana.
In relazione al carattere popolare della località saranno, inoltre, ampliate le aree aventi destinazione intensiva[1], mentre quelle con destinazione a parco privato sono state confermate, così saranno conservati tutti i nuclei alberati della zona.
È stata anche prevista la costruzione di un mercato coperto al Quadraro. E, infine, la sistemazione e la valorizzazione del Monte del Grano.
È incredibile pensare alla attualità di questi progetti che nei primi decenni del secolo volevano attuare quello che ancor oggi inseguiamo con difficoltà: la riqualificazione del quartiere.
Erano previsti: il collegamento dell’ancora esistente piazzale antistante la Stazione Casilina e quindi Certosa e Quadraro, con la Via Tuscolana all’altezza di Piazza S. Maria Ausiliatrice, permettendo così anche un collegamento diretto con la Stazione Tuscolana; il collegamento tangenziale fra la zona della Caffarella (Via Cesare Baronio) con la Casilina e quindi il Mandrione.
Nel lavoro di Ceroni non viene citato, ma sappiamo che questo nodo di collegamento comprendeva anche una galleria ferroviaria che avrebbe collegato la stazione Tuscolana con la Stazione Casilina per poi proseguire verso la Via Casilina. La galleria è stata realizzata ed è tutt’ora esistente ma usata per la produzione di funghi fino a qualche anno fa, il suo proseguimento verso Via Casilina, nella zona conosciuta come “la trincea”, è oggi ridotta a discarica; va da Via Beccadelli verso l’ex Aeroporto di Centocelle, sarebbe stato il tracciato della “metropolitana” progettata nel ’38, che avrebbe raggiunto l’interland romano verso est.
La guerra distrusse tutto. I sogni, le speranze, il futuro, ma soprattutto distrusse la vita di tutti i giorni.
La progressiva regressione che l’Italia e Roma furono costrette a vivere portarono al disfacimento delle strutture sociali e urbane, il Quadraro, come il resto della città e del Paese subì lo stesso destino.
Le privazioni fecero emergere i principali bisogni, e così la fame produsse la borsa nera, l’assenza di libertà: la ribellione.
Le difficoltà degli anni fra l’inizio della guerra ed il 1943 si acuirono enormemente nella fase finale del conflitto. Nel Luglio del 1943 la situazione era sospesa in un tragico limbo: il primo ministro Mussolini stava blandamente cercando di sganciarsi da Hitler mentre questo lo istigava a resistere ed a contrastare le truppe anglo-americane in Sicilia promettendogli divisioni armate e fantomatiche “armi segrete”; il Re Umberto non sapeva che fare e prendeva (e perdeva) tempo; Badoglio tesseva trame per la sua carriera in un continuo doppiogiochismo (pensate che per alcuni anni in Europa ha circolato il verbo “to do not badogliate” per dire gergalmente “non fare il doppiogioco”); Maria Josè, la Principessa ereditaria, tentava la strada diplomatica con Americani ed Inglesi in modo indipendente, al fine, nelle sue intenzioni, di risparmiare all’Italia il massacro che, forse con maggiore lungimiranza di altri, intuiva nel futuro prossimo.
Lunedi 19 luglio del 1943, il giorno in cui a Feltre, Hitler e Mussolini si stavano incontrando, gli Americani, indipendentemente dagli Inglesi e scegliendo una data che sottolinea la loro predilezione per la platealità (l’anniversario dell’incendio Neroniano), nonostante la loro iniziale promessa di risparmiare città come Roma, Firenze, Assisi, sorvolarono la capitale con 321 bombardieri, in due fasi, al mattino e al pomeriggio sganciarono ben 682 tonnellate di bombe.
L’intenzione dichiarata era quella di colpire gli obiettivi militari ma i bombardamenti avvennero “a tappeto” cioè ogni squadriglia sganciava, da quote elevate e tutte assieme, le bombe trasportate senza alcuna possibilità di mirare a obiettivi specifici.
Terminati i passaggi dei bombardieri, fino a sera i Lightning, maneggevoli aerei dal caratteristico doppio timone, equipaggiati con quattro mitragliatrici da 12mm e un cannone da 20mm, mitragliarono le autocolonne dei soccorsi provenienti da Tivoli e dai Castelli.
Eisenhower aveva le idee chiare su ciò che sarebbe successo, ai suoi piloti disse esplicitamente: “se per salvare un solo uomo americano dovete buttar giù il Colosseo, buttatelo pure giù!”.
I quartieri più colpiti furono: Prenestino, Tiburtino, Tuscolano, San Lorenzo; 1.500 civili morti, 6.000 i feriti, 40.000 i romani senza tetto, tutto questo in un solo giorno!
Roma non aveva, fino ad allora, subìto alcun bombardamento.
A questa prima, micidiale pioggia di bombe, ne seguirono molte altre: il 13 agosto del 1943, il 13 gennaio 1944; poi, praticamente ogni giorno, fra il 14 e il 19 febbraio, quando vennero distrutte, oltre a centinaia di edifici, la clinica ostetrica Villa Bianca e la clinica Polidori.
Ad ogni bombardamento seguivano mitragliamenti a bassa quota.
Qualche giorno di calma e poi i bombardamenti su Roma ripresero. Il 3 marzo colpito il cimitero del Verano, cattolico ed ebraico; Tiburtina, San Paolo e Piramide. Il 7 marzo colpiti Trastevere, Garbatella e Ostiense. Il 10 Marzo Piazza Bologna, Val Melaina e Via XXI Aprile. Il 14 marzo Nomentano, Prenestino, Tiburtino e Tuscolano, uccise dai crolli, persone in fila per il carbone. 17 marzo colpiti Predestino, Casalbertone, Pigneto. Il 18 marzo strage di passeggeri, 60 persone, sul tram 8 in Via Morgagni, bombe sul Policlinico. (da: “Il Messaggero”, “Il Corriere della Sera” e “Il Popolo di Roma”).
Gli anglo-americani utilizzavano anche, per i bombardamenti sulla città, le cosiddette “bombe a spillo” bombe con un percussore molto lungo (lo spillo) che faceva esplodere l’ordigno quando questo non aveva ancora raggiunto terra, a circa un metro di altezza, così da creare un micidiale lancio di schegge ad altezza d’uomo. Un altro tipo di bomba che era spesso utilizzato era quello a scoppio ritardato, finalizzato ad ostacolare i soccorsi. In ogni caso, ad ogni bombardamento seguivano i mitragliamenti sulle ambulanze, sui mezzi di soccorso e sulla gente in strada.
Le intenzioni degli americani erano chiare, possiamo identificare due importanti questioni sulle quali gli alleati hanno puntato: una rivolta all’esterno dell’Italia, l’altra invece interna.
Da un lato l’enorme peso politico che i bombardamenti su Roma potevano avere. Roma non era e non è una città qualunque e non era mai stata bombardata durante il conflitto, di fronte alla minaccia della sua distruzione tutto il mondo, della cultura e non, si sarebbe indignato.
In quegli anni c’era ancora consenso da parte di una notevole parte dell’opinione pubblica e di governi di alcuni Paesi verso la Germania, l’ostinazione di questa a non arrendersi “costringeva” gli Alleati ad effettuare azioni di guerra come appunto quella di bombardare Roma, gli americani contavano sul fatto che il consenso sarebbe venuto meno in considerazione delle gravi conseguenze dovute alla mancata resa.
Dall’altro lato gli alleati contavano su un particolare fattore, interno all’Italia, forse il più importante per la loro vittoria. In una lettera del 30 luglio 1943 Roosevelt scrive a Churchill: “Bombardare, bombardare ...io non credo che ai tedeschi piaccia tale medicina e agli italiani ancor meno ...la furia della popolazione italiana può ora volgersi contro intrusi tedeschi che hanno portato, come essi sentiranno, queste sofferenze sull’Italia e che sono venuti in suo aiuto così debolmente e malvolentieri..”
E così avvenne.
La rivolta degli italiani nei confronti dell’esercito tedesco fu molto diversificata, così riporta, nel suo “Storia dell’Italia partigiana” Giorgio Bocca:
Nelle borgate si formano due tipi di resistenza, spesso vicine, mai unite in una forza omogenea. C'è una resistenza popolare, prepolitica, condotta da giovani predisposti dalla vita grama alla ribellione; e c'è quella politica degli intellettuali, degli artigiani, degli operai appartenenti al movimento trotzkista di Bandiera Rossa. Si formano così bande dell'uno e dell'altro tipo a Centocelle, Torpignattara, Quadraro, Tiburtino, la cui storia è poco nota, difficilmente ricostruibile poiché non fa capo ad alcuno dei centri resistenziali, anzi è da essi deliberatamente obliata.
Le bande lazzaronesche si battono all'unico fine immaginabile dai loro componenti: difendersi dalle razzie tedesche e procurarsi cibo per sopravvivere. È inevitabile che nel calore dell'azione venga fuori l'astio classista, la rabbia dei dimenticati; dove manca una guida forte questa carica protestataria sfocia nel banditismo, genera personaggi come Giuseppe Albani detto "il gobbo del Quarticciolo". Passatore deforme: la sua banda attacca i forni per distribuire la farina alla popolazione, ma gliene resta sempre da vendere alla borsa nera; ingaggia combattimento con un plotone tedesco sorpreso in una trattoria presso Cinecittà, ma i suoi membri eliminano i loro nemici personali; va a tendere imboscate al nemico sull'Appia Nuova, ma anche a derubare di notte i contadini di Monte Mario.
Dove invece intervengono gli uomini di Bandiera Rossa il furore popolare si trasforma in manifestazioni corali e consapevoli di antifascismo. Per esempio in marzo alla borgata Gordiani la banda locale tende un'imboscata ai fascisti venuti per rastrellare giovani; agli spari la popolazione scende in piazza e caccia i militi. Tutte le borgate del resto sono zona infida per l'occupante e per il collaboratore, il Quadraro soprattutto. Moellhausen, il consigliere d'ambasciata nazista è solito dire: “Chi vuole sfuggirci ha due strade: o va in Vaticano o al Quadraro". È un'ardua impresa sorvegliare i formicai che circondano, con la loro ignota miseria, la città storica. Ci si prova il questore Caruso, manda al Quadraro un commissario fidato, certo Stampacchia. Arriva il 21 di febbraio. La sera stessa appaiono sui muri delle scritte: "Calmati, Stampacchia, se no ti facciamo la pelle". Quattro giorni dopo lo fulminano a rivoltellate sulla porta di casa. Seguono decine di azioni, uno scontro a fuoco con i tedeschi a Frascati, sabotaggi.
Il movimento di Bandiera Rossa riesce ad affiliare centinaia di persone, ma quando tenta di creare una organizzazione e rapporti di massa, fallisce. Ci prova in marzo e aprile organizzando nelle borgate collette di denaro e di cibi per i carcerati, per stabilire quel primo legame concreto facilmente comprensibile fra la cittadinanza e la minoranza armata. Ma il sottoproletariato è una pasta difficile e sfuggente, quasi sempre si torna alle manifestazioni di un ribellismo tanto spontaneo quanto privo di prospettive.
Il Quadraro è quindi teatro di una particolare coincidenza, queste due facce della medaglia della rivolta italiana contro i nazisti qui, coesistono. Al Quadraro sono presenti sia le “bande lazzaronesche” che l’organizzazione più strutturata di tre gruppi armati della resistenza: il Partito d’azione, i gappisti della cosiddetta VIII zona e gli indipendenti di Bandiera rossa, organizzazione fondata da Vincenzo Guarnera, un ex fascista.
C’era però una piccola ma importante distinzione territoriale, i partigiani si erano organizzati prevalentemente negli edifici del Sanatorio Ramazzini in quanto offriva una struttura organica e pianificata, con la possibilità di confondersi con i malati e creare nascondigli nella vastità dei locali, oltre che l’accesso alle grotte di pozzolana che percorrono tutto il sottosuolo del quartiere e si estendono fino a Cinecittà. Le bande che invece compivano furti e approfittavano della incredibile confusione che in quei mesi e quei giorni regnava, sfruttavano rifugi improvvisati e meno strutturati.
Il “Gobbo del Quarticciolo” aveva il suo quartier generale al Quarticciolo, come il suo soprannome fa facilmente intuire, ma al Quadraro la sua presenza era consueta ed abituale. La vicinanza della Tuscolana percorsa dalle autocolonne tedesche che trasportavano cibo e vettovaglie, rendeva attraente l’avamposto del Quadraro per gli assalti.
Giuseppe Albano, questo il vero nome del “gobbo”, nel 1944 aveva 17 anni, era arrivato a Roma da Gerace Superiore, nei pressi di Reggio Calabria e, come tanti ragazzi di quell’età cercava di sopravvivere in quella follia.
Pur essendo giovanissimo Albano era già, nel ’43-’44, a capo di un gruppo di fuorilegge che si occupava di furti, rapine e ricatti. Gli unici che, in quel periodo possedevano cibo erano i tedeschi, la popolazione romana era fiaccata dai continui e martellanti bombardamenti anglo-americani e dalle reazioni dell’esercito tedesco, la fame era l’unica protagonista di quelle giornate, Elsa Morante scrive nel suo romanzo “La storia”:
Negli ultimi mesi dell’occupazione tedesca, Roma prese l’aspetto di certe metropoli indiane dove solo gli avvoltoi si nutrono a sazietà e non esiste nessun censimento dei vivi e dei morti […]. La popolazione era ammutolita. Le notizie quotidiane delle retate, delle sevizie e dei macelli circolavano per i rioni come echi rantolanti senza risposta possibile […]. E anche il famoso miraggio detto Liberazione si andava riducendo a un punto fatuo, materia di sarcasmo e canzonatura. Del resto, si diceva che i tedeschi, prima di abbandonare la città, l’avrebbero fatta saltare tutta intera dalle fondamenta e che già, per chilometri sottoterra, le fogne erano un deposito di mine […]. Ma, alla fine, dentro la città isolata, saccheggiata e stretta d’assedio, la vera padrona era la fame.
Il “gobbo” e la sua banda assaltavano forni e colonne tedesche, rivendendo poi alla “borsa nera” le derrate alimentari e ai partigiani armi e munizioni. La presenza della sua banda sulle vie Tuscolana e Prenestina, cruciali per i collegamenti con i Castelli era, per l’esercito occupante, una spina nel fianco. In quegli anni il “gobbo del Quarticciolo” era una delle figure più ricercate a Roma, addirittura, nei primi mesi del 1944 il comando tedesco arrivò ad ordinare l’arresto di tutti i gobbi di Roma nel disperato tentativo di identificare Giuseppe Albano.
Il “gobbo” aveva però assunto agli occhi dei disperati che aspettavano solo la fine di quei giorni di terrore, un aurea di eroe, di giustiziere, che colpiva i tedeschi e ne ostacolava le azioni, immagine enfatizzata anche dal fatto che parte dei bottini, venduti alla borsa nera nei quartieri “ricchi”, venivano invece regalati al popolo del Quarticciolo e del Quadraro, un po’ per solidarietà e un po’ forse, per conquistarsi la fiducia ed il silenzio degli abitanti.
Il Quadraro era un ottimo nascondiglio, o meglio, lo era diventato con il suo modificarsi durante gli anni della guerra. Verso gli ultimi anni del conflitto, al Quadraro come in altre periferie, a Tor Pignattara a Centocelle; avevano iniziato a confluire sfollati e senzatetto dalla città e dalle campagne, anche lontane. I lotti di terreno, che in origine, prima della guerra, erano rettangoli di circa 1.000, 1.500 metri quadri, con il villino costruito un po’ arretrato dalla strada, iniziarono a riempirsi di casette, riempiendo i vuoti e costituendo quella struttura, certo un po’ caotica ma tale da farlo assomigliare ad un paese, che ancora oggi possiamo vedere in molte zone del quartiere.
Nel marzo e nell’aprile del 1944 gli eventi politici e sociali intorno al Quadraro iniziarono a precipitare.
Il 23 marzo del 1944 i Gruppi Armati Proletari fanno saltare in Via Rasella una bomba ad alto potenziale uccidendo 33 poliziotti altoatesini.
Il giorno successivo i tedeschi prelevano 335 uomini da Via Tasso e da Regina Coeli e li fucilano nelle grotte delle fosse Ardeatine per rappresaglia all’attentato. Fra i fucilati ci sono anche il colonnello Montezemolo e diversi alti ufficiali che erano a conoscenza dei segreti dell’8 settembre 1943 e delle trattative intercorse tra il Re, Badoglio e i tedeschi per consentire al Re di poter fuggire da Roma che era accerchiata dalle truppe tedesche.
Stava emergendo, come se non fosse bastata la guerra, la violenza cieca di una fetta di umanità fuorviata da ideali malsani e braccata dall’avanzata degli alleati.
Il 25 marzo, sull’Osservatore Romano, organo del Vaticano, nel tentativo, di risparmiare altre vite innocenti e placare la rabbia dopo l’eccidio delle fosse Ardeatine, appare un appello alla popolazione romana affinché eviti: “impulsi violenti e atti inconsulti”; chiede ai responsabili dell’ordine pubblico di: “provvedere ch’esso non venga turbato da qualsiasi atteggiamento che possa essere a sua volta motivo di reazioni, dando luogo a un’indefinibile serie di dolorose contese”; e prega “coloro che possono e sanno influire sull’animo dei cittadini, e soprattutto al clero, l’alta missione del persuadere, pacificare e confortare.”.
Il 30 marzo militari della Gnr e dei battaglioni ‘M’ mettono in atto un rastrellamento nella borgata Gordiani, dove gruppi di antifascisti reagiscono con le armi alla polizia (come abbiamo visto nella citazione di Bocca) la quale non porta a termine il rastrellamento e desiste nel farne un altro al Quadraro.
Qui è forse importante una riflessione, è probabile che la polizia abbia trovato nella ribellione popolare la motivazione ufficiale del non avvenuto rastrellamento, giustificando così un gesto che era in realtà di solidarietà, consideriamo che si trattava di militari italiani contro civili italiani.
Un altro esempio che conferma questo atteggiamento avvenne pochi giorni dopo, il 7 di aprile: dei gappisti predispongono un attentato a Vittorio Mussolini che viene però sventato dall’intervento della polizia. Tre partigiani vengono arrestati. Il commissario in forza all’ufficio politico della Questura concorderà con loro la versione da fornire affinché vengano accusati di “tentata rapina”, unico modo per sfuggire alle attenzioni dei tedeschi e sottrarsi alla condanna a morte, certa in quanto arrestati con le armi in pugno.
Ma torniamo al 30 marzo, in questo giorno il quotidiano “l’Unità” pubblica un comunicato con il quale i comunisti si assumono la responsabilità dell’attentato di Via Rasella, in prima pagina troviamo scritto: “La guerra partigiana a Roma – Colonna di carnefici tedeschi attaccata in via Rasella” e più in grande: “Gloria eterna ai 320 fucilati di Roma - Vendicare i nostri martiri, liberare la nostra Patria”.
Nei giorni successivi l’attentato di via Rasella, venne drasticamente ridotta la razione di pane per tutti, questo venne visto come una “punizione” e sicuramente voleva esserlo, ma era anche una necessità: le scorte di cibo, come riportava l’ambasciatore Rahn a Berlino sarebbero bastate “solo per due o tre giorni”, i bombardamenti avevano interrotto le ferrovie e i trasporti erano possibili solo su gomma, ma le colonne di automezzi erano più soggette agli attacchi. I tedeschi occupanti decisero così di “rimuovere” una parte dei consumatori “attraverso rastrellamenti e deportazioni” come riporta lo stesso Rahn.
De Cesaris, in un recente studio, riporta:
Da più fonti viene riferito di un ordine, giunto direttamente da Berlino, per la deportazione in massa da Roma di tutti gli uomini validi, a cominciare dai quartieri ritenuti "più pericolosi" […].
[…] ... il vero scopo di tale operazione, tenuto segreto persino alla maggior parte degli enti militari tedeschi, cominciò a trapelare quando Sauckel fece, alcune settimane più tardi, una nuova visita a Roma e al Monte Soratte.
In questa occasione si venne a sapere che la 'azione Balena', secondo l'intenzione di Sauckel, delle SS e di Kesserling, avrebbe dovuto essere una specie di prova generale per la grande razzia prevista nel programma di azione delle forze tedesche occupanti Roma ...".
Il piano, che pare fosse stato elaborato nei minimi particolari, non fu attuato per vari motivi (dalle difficoltà logistiche a quelle derivanti dalla progressiva diminuzione della capacità bellica tedesca). In questo quadro, pertanto, si può considerare il rastrellamento al Quadraro come la prova generale di quel progetto che poi per vari motivi non ebbe seguito.
(dal Dibattito: Storie romane: “Sterminare quel nido di vespe!”, Il rastrellamento del Quadraro del 17 aprile 1944. A cura di Walter De Cesaris. Con: Anna Balzarro storica; Duilio Di Pofi “Lillo” testimone dei fatti.).
Ai primi di aprile in via Luigi Tosti al quartiere Appio, l’esasperazione e la fame spinsero delle donne in coda da ore per la razione di pane, dapprima a proteste verbali e poi ad irrompere nel forno saccheggiando pane e farina. Nei giorni seguenti in diverse parti di Roma si ripeterono episodi simili. La maggior parte delle donne che prendevano parte agli “assalti ai forni” provenivano dal popoloso quartiere del Quadraro.
Le tensioni erano altissime ed inoltre in un contesto di sofferenze e fame, gli episodi di uccisioni, morti, bombardamenti, erano assurdamente all’ordine del giorno. Da alcune cronologie risulta che nei pressi della località “Osteria del Curato” sulla Via Tuscolana, verso i Castelli, il giorno 3 aprile, degli uomini dei Gruppi Armati Proletari uccidono tre paracadutisti tedeschi. In quei giorni feroci e crudeli, l’episodio ha aspetti di legittima difesa, i tre militari tedeschi, ubriachi, secondo le cronache avevano sparato all’oste che gli aveva chiesto il pagamento del vino. Da testimonianze di persone che hanno vissuto quei giorni, però, l’unico effettivo episodio di uccisione di tedeschi avvenuto in quei giorni risulta essere quello verificatosi in una osteria lungo la via Tuscolana, vicina al Quadraro, l’osteria da Gigetto, presso la odierna via Calpurnio Fiamma.
Abbiamo incontrato un testimone diretto di quel fatto e riportiamo integralmente il colloquio avuto con lui la sera del 26 Aprile 2005. Presenti due membri della Associazione Amici del Vecchio Quadraro, Fabio e Sante, ed il testimone, figlio del proprietario della osteria dove si sono svolti i fatti, che gentilmente ci ha concesso l’intervista.
F.: “Allora, ci racconti di questo episodio.
Int.: “Qualcuno dice che i tedeschi sono stati ammazzati alla borgata lì dove stava, al Quarticciolo, l’ho letto pure sul Messaggero, su altri giornali, c’è un sacco di confusione ma è una cosa semplicissima.
“Noi stavamo…, era l’Osteria da Giggetto, dove adesso…, tra Standa e Upim, Via Calpurnio Fiamma. Non c’era Via Calpurnio Fiamma perché c’era tutto prato, lì però noi stavamo con questa casa, una trattoria; una casa che poi è stata pure occupata…, il casale occupato…[2].
“Quella casa, c’era solo quella, che c’erano tutti prati! Era con un bel giardino intorno con i tavoli, ed è lì che si è svolto quest’episodio dei tre tedeschi.
“Non erano ubriachi, stavano lì, adesso diciamo…, erano tedeschi certo, non erano…, erano truppe d’occupazione, però stavano lì a bere, manco a mangiare se po’ di’, perché a quei tempi non è che c’era tanto da mangiare.
S.: “Il fatto come è avvenuto?
Int.: “Il fatto è avvenuto in questo modo. Era il Lunedì di Pasqua, tu sai…, il Lunedì di Pasqua, malgrado fossimo in un periodo non proprio felice perché la gente c’aveva ben altre cose a cui pensare, Roma stava…; c’era stato il fatto delle Fosse Ardeatine; c’era una atmosfera un po’…
“Però quel giorno improvvisamente la gente s’è dimenticata un po’ ’ste cose e è uscita da casa…, sai coi fagotti, perché così si usava in quell’epoca.
“Da noi si empì il locale. C’era tanta gente, era pieno, fuori, nel giardino…, tutto pieno de gente, che veniva e mangiava quelle poche cose che s’era portata. Noi potevamo offrire ben poco, non c’era tanto…, si, er vino c’era, perché i Castelli ancora funzionavano e c’erano le bevande. Diciamo una atmosfera abbastanza tranquilla.
“C’erano questi tedeschi, tre tedeschi, che stavano…
“Noi avevamo un locale che era formato da una piccola sala appena si entrava e poi c’era un’altra sala, più o meno della stessa grandezza, poi c’era un’altra sala più piccola, poi c’era un bagno e dall’altra parte la cucina.
“Nella prima stanza del locale c’erano quattro, cinque tavoli, non di più. In uno di questi tavoli c’erano questi tre tedeschi, erano poi tedeschi che stavano a Cinecittà, che c’era un campo di prigionieri e questi stavano lì in servizio. “In quella stanzetta più piccola c’era un altro tedesco, con una ragazza.
“È entrato il gobbo con altri due, hanno girato un po’ per il locale, sono andati anche nella stanzetta, hanno girato tutto il locale, hanno guardato, visto com’era la situazione, sono tornati verso la stanzetta, hanno chiuso la porta, hanno detto “nun ve movete da qui perché sennò so’ affari vostra…” sono andati verso quei tre tedeschi che stavano seduti, hanno tirato fuori le pistole e hanno sparato. Pare che abbiano detto “Camerati mani in alto.”, ’ste cose così…, ma con la confusione non è che si poteva capire…, però più o è meno così. E l’hanno ammazzati.
“Due sono caduti proprio lì dove…, per terra, lì al tavolo. Uno si è alzato, è cercato di scappare e è andato verso la cucina. Io mi trovavo in cucina con mio fratello, che era piccoletto, che ce l’avevo in braccio. Me vedo questo che me viene addosso, co’ un fiotto de sangue dalla bocca. E’ un episodio…, sai, dal punto di vista umano, che anche, sai…, un ragazzino, io avevo dieci anni non avevo mai visto uno in quelle condizioni…, mi mise parecchio paura.
“Poi la gente naturalmente è scappata tutta, quindi i tavoli so’ rimasti così, sottosopra…, tutto…, un disordine. Un atmosfera…, che ne so…, di paura. Scappati tutti, i bicchieri mezzi pieni… mezzi vuoti… Naturalmente nessuno ha pagato! Diciamo così, per sdrammatizzare un po’.
“Naturalmente pure il gobbo co’ st’altri due, se ne sono andati.
“L’altro tedesco è zompato dalla finestra, perché stavamo al piano terra, ed è andato a chiamare aiuti.
“Io personalmente… C’era mio fratello, lui, mio padre, mia madre e mia nonna sono rimasti lì. A me e a agli altri due più piccoletti c’hanno portato a Via dei Sulpici che c’era mia zia.
“Loro, ad andare via forse era anche peggio, poteva sembrare anche un senso di colpevolezza, una compartecipazione, non lo so.
“Io mi ricordo, mentre andavo via, ’sta scena, che c’era ’na specie di collinetta, co’ nonna che stava lì su, in ginocchio che stava pregando, perché non si sapeva quello che…, era l’anziana della famiglia, si rendeva conto che la situazione sarebbe da un momento all’altro precipitata.
“Io andavo a piedi verso piazza del Quadraro, c’avrò messo dieci minuti…, le case erano pochissime, bisogna anche un po’ capire come era la zona. C’era ’sta casetta nostra, insomma ’sta trattoria… Osteria da Giggetto, che ci abitavamo sopra. Poi c’avevamo…, noi li chiamavamo i chioschi, erano fatti con le canne intrecciate, che si mettevano…, era una cosa…, a me me sembrava…, chi lo sa…, eri ragazzino…, me sembrava bello!
“Tutta ’sta campagna che c’erano i pastori con le greggi, che pascolavano. Cecafumo stava un po’ prima, noi stavamo un po’ dopo Cecafumo, che lì finiva il tram, che poi ce n’era un altro che proseguiva a Cinecittà e un terzo che andava ai Castelli.
“Insomma. Abbiamo detto: sparatoria, i morti, loro scappano, a noi piccoli ci mandano via. Dopo cinque, dieci minuti cominciano a sentirsi sirene. Io stavo da zia e vedevamo che passavano tutti ’sti camion con dentro i tedeschi seduti con in mano i fucili.
“Poi, dai racconti di mamma, di papà; sono arrivati questi tedeschi e li hanno messi subito al muro, il primo atto, la prima cosa che hanno fatto li hanno messi addosso al muro.
“Poi sono arrivati altri camion da Cinecittà con il tedesco che era scappato. Questo, devo dire, almeno così papà lo interpretò, disse un po’: “Un momento, che questi non c’entrano proprio niente.”
“Lui ha raccontato come s’erano svolti più o meno i fatti, anche se non aveva visto proprio l’episodio, perché era scappato, però aveva visto ’sti tre, aveva sentito i botti, aveva capito quello che stava succedendo.
“Per quanto mi ricordo non avevamo notato nessun atteggiamento da parte di questi [tedeschi] che avesse provocato un po’ la cosa… non c’è sembrato, ma sai…, delle volte ti può sfuggire, questi particolari, magari quello lo guarda brutto, se guardano storto, quello era gobbo, poteva anche…, non lo so…
“Probabilmente lui avrà detto…, non so…, ho anche letto un articolo dove la sorella, o il fratello, di questo qui dove diceva che lui era una vittima, diciamo, di una certa situazione. Perché in realtà, ’sto ragazzo, che era nato gobbo, quindi frustrato, diventato delinquente, insomma uno che non scherzava, però…, sai se vai a scavare un po’ di più vai a scoprire…, era nato, lui, in Calabria a Gerace, poi s’era trasferito a Roma nella periferia più degradata ch’era il Quarticciolo, ambiente così…, l’atmosfera del momento si prestava perché lì potevi anche sembrare un eroe insomma…, forse nella sua mente probabilmente ha pensato pure de fa’ una cosa eroica, qualcosa d’importante…, e insomma ha messo però un po’ la situazione…, ha creato una situazione difficile.
“Poi la settimana dopo c’è stato il rastrellamento.
“Comunque, per tornare… Questi tedeschi hanno messo al muro tutti quanti e hanno cominciato a indagare. Hanno già preso qualcuno, hanno già preso qualche persona che in mezzo ai prati scappava, l’hanno acchiappati, l’hanno interrogati.
“Raccontavano pure che avevano sparato a uno, non lo so se l’avevano ammazzato, sai nel caos così. Mio padre mi raccontava pure che lui aveva salvato uno, perché questi gli stavano per sparare perché questo correva, “no fermo questo lo conosco, quello n’centra gnente, non è lui il gobbo o uno degli altri due” e er tedesco non ha sparato. Poi questo l’hanno acchiappato, ’sto ragazzo, poi mio padre ha calmato il tedesco, ha calmato lui. Sai, quello sparava perché diceva: “sarà lui.”, quell’altro scappava perché c’aveva paura…
“I tedeschi avevano cominciato a fare le indagini. Papà si ricorda che quando è arrivato il comandante, che urlava come un..., era proprio uno de quelli…, de tedeschi! E quello ha detto: “Adesso altre trenta famiglie che piangeranno.”.
Perché allora c’era questa famosa…, dieci italiani per ogni tedesco, dopo le Fosse Ardeatine…, la rappresaglia metteva paura.
“Poi c’è stato quest’episodio del rastrellamento del Quadraro.
“Qui le cose si fanno…, ecco, questo è il punto cruciale. Io non vorrei, diciamo, dare un giudizio che non mi compete perché… Però una cosa è certa, questo si può dire, io me lo ricordo, che poi non sapevo manco il significato della parola, si diceva che il Quadraro era un covo di comunisti. Io ho sentito tempo fa, in delle interviste che fanno a Sisto Quaranta… covo di vespe… nido di vespe…, cose così, io questo non l’ho mai sentito in realtà, però eravamo ragazzini, non è che seguivamo la politica, poi nati in un periodo, insomma, dove la politica era l’ultima cosa di cui si potesse parlare, figuriamoci che preparazione potevamo avere.
“Però io mi ricordo che circolava questa voce: “Il Quadraro è un covo di comunisti” e quindi le due cose, secondo me, sono legate.
S.: “La cosa che mi colpisce di più è che, in genere, i tedeschi erano molto sbrigativi nel fare rappresaglia. Uccisi quelli, avrebbero fatto subito. E il luogo dove potevano prendere le persone per ammazzarle era il Quadraro, però non l’hanno fatto.
Int.: “Però non l’hanno fatto subito, è vero, hanno fatto passare una settimana, una settimana giusta. Probabilmente l’hanno preparata, l’hanno dovuta preparare e anche per fare la sorpresa, perché se lo facevano il giorno dopo non ce trovavano manco la gente, manco il giorno stesso, perché la gente… mo io non so quello che al Quadraro stava succedendo, però quando io andai dagli zii e passavano ’sti tedeschi… la gente c’aveva paura, sai: “Ch’è successo?”, “Hanno ammazzato tre tedeschi.”, insomma molte persone erano scappate. Io non è che ho vista scappa’ la gente, però un fuggi fuggi c’è stato, poi è passato, poi piano piano s’è assestato, tanto è vero che noi, dopo qualche ora, di sera… [siamo tornati].
F.: “A che ora è avvenuto il fatto?
Int.: “Era nel pomeriggio, perché si usava così, la scampagnata avveniva principalmente nel pomeriggio, prima si stava a casa, poi si usciva con un po’ de roba…, diciamo saranno state le cinque, mo gli orari precisi…, si, saranno state le cinque, le quattro, comunque nel pomeriggio, allora non c’era l’ora legale[3], però era giorno, me lo ricordo benissimo, po’ essere pure che erano le tre, sinceramente sull’orario…, non me lo ricordo però era nel pomeriggio, sicuramente nel pomeriggio del Lunedì di Pasqua.
S.: “Resta interessante il fatto che non c’è la rappresaglia subito.
Int.: “C’era un’altra cosa che echeggiava in quel tempo. Questi tre che sono stati ammazzati, questi tre tedeschi, in realtà non erano proprio tedeschi, erano austriaci e allora tanti dicevano: “sono tedeschi di seconda categoria.”, e…, allora…, probabilmente…, ‘valevano’ de meno…, e allora può essere… Questa cosa ce la siamo chiesta pure noi…, come mai è passata ’na settimana?
“Probabilmente perché erano tre austriaci…, che se erano esseesse avevano messo a ferro e fuoco tutto quanto. Questo è quanto dicevano le voci che circolavano allora, che io ho sentito.
F.: “Ma poi c’era un altro elemento che ho trovato studiando le cronache dell’epoca. I bombardamenti a Roma erano quasi all’ordine del giorno, specialmente al centro…
Int.: “…Si, ma anche qui da noi venivano, mitragliavano, più che bombardamenti, si, mitragliavano, dagli aerei con le mitragliatrici, si, ogni tanto capitavano…
F.: “…Con i bombardamenti sulle stazioni e binari i treni erano bloccati. Roma non aveva più viveri, il comando tedesco proponeva rastrellamenti per deportare e ridurre la popolazione romana,, i convogli su gomma erano presi d’assalto, in particolare in questa zona…
Int.: “Si certo, l’episodio dell’uccisione è stato la miccia, ha innescato la miccia, di una situazione che già esisteva, il fatto che il Quadraro era considerato un covo di comunisti, ha semplificato [per i tedeschi] un po’ le cose. Qui è successo questo, qui ce so’ questi… pàffete.
F.: “Che poi, c’è un altro dettaglio: i partigiani organizzati erano dentro il Sanatorio Ramazzini, mentre al Quadraro, Quarticciolo, c’erano le bande meno organizzate.
Int.: “Ma…, anch’io da cose sentite, anche da mio padre, che mio padre era considerato una persona stimata nella zona. Questo episodio avvenuto dentro la nostra trattoria ha creato… qualche problema…, mal de pancia…, insomma…: “ma proprio li dovevate anda’?”
“Sembra, da risposte che abbiamo avuto, che mio padre ha avuto, che questa azione è stata del tutto autonoma, nessun movimento partigiano ha rivendicato l’azione, insomma, questi hanno fatto da soli…, quasi…, insomma adesso…, dire una ragazzata sarebbe una parola fuori luogo, in questo contesto…, però…, insomma…, diciott’anni…, gli altri due c’avranno avuto più o meno la stessa età.
“Da quello che siamo venuti a conoscenza, non è stata una azione coordinata, concordata , è stata una azione autonoma di questi tre, che hanno fatto ’sta cosa pe’ cavoli loro, tranquillamente. Questo è importante.
“Così ci è stato detto da persone che avevano stima di mio padre e che avevano una certa responsabilità politica del quartiere, intendendo politica nel senso…, quella partigiana. Hanno detto: “Guarda, questo episodio che noi non eravamo assolutamente a conoscenza, è stata una cosa dove non c’entra niente il movimento.”.
“Questo c’è stato detto e io penso che sia vero. I partigiani sapevano che sicuramente ci sarebbe stata una rappresaglia, che te metti a fa’? A due passi dal Quadraro, proprio dove…, che te metti a fa? Me sembra proprio…, ad attirare…, quindi mi sembra che questa versione potrebbe essere giusta.
“Comunque, quando poi presero tutti…, quando ci fu il rastrellamento del Quadraro, mio padre, mia madre e mio fratello, venivano prelevati, quasi tutti i giorni e portati a Cinecittà dove c’erano tutte queste persone, che moltissimi erano conosciuti da mio padre, quelli, poveracci, quando vedevano papà dicevano: “A Giggè, ’nsomma.”, e lui: “Ma state tranquilli, lo so, voi non c’entrate niente, ci conosciamo.”. A vede’ quella gente…, papà quando tornava era distrutto. Che lui lo prendevano per fare i confronti, il riconoscimento; perché, è vero, uno era gobbo però c’erano gli altri due e i tedeschi gli dicevano: “Guarda se questi due sono loro.” insomma se c’era qualcuno che riconosceva. Poi andava ogni tanto, credo in Questura, mi pare a Via Tasso, dove lì, c’era la sfilata dei gobbi, perché tutti i gobbi di Roma…, ogni gobbo l’acchiappavano, e fra gli altri presero pure il gobbo del Quarticciolo.
“Mio padre non era proprio sicuro al cento per cento…, ma al novantanove per cento…, che fosse lui, e quindi…, mo io non è che sono sicuro…, non se l’è sentita e ha detto: “Per me non è lui.”. Poi, dicevano, che…, alcuni dicono che è scappato…, qualcuno diceva che faceva il doppio gioco…, ma…, io questo non lo so…, quando portarono i prigionieri di via Tasso alla Storta che ammazzarono Bruno Buozzi [il 4 Giugno], quando i tedeschi erano ormai in ritirata, e pare che ’sto gobbo lo avevano preso per metterlo nel camion per poi…, ammazzarli…, pare che lui non…, non so per quale motivo…, non c’è entrato, chi lo sa?… Er camion era pieno e non…, e s’è salvato. E poi lui è scappato, poi sono arrivati gli alleati.
“Lui poi venne da noi, il gobbo, questo me lo ricordo. Venne lì da noi a vedere il posto dove aveva fatto questa azione. Lui si riteneva, allora, subito dopo la liberazione, si riteneva un partigiano quindi un eroe. In realtà poi i fatti c’hanno dimostrato che era uno…, magari per tutte quelle ragioni che abbiamo detto, comunque s’è messo a fa’ il delinquente. Faceva poi anche dei ricatti, pure Beniamino Gigli perché Beniamino Gigli aveva cantato nel periodo fascista e lui diceva che era uno che aveva collaborato.
“Ma lui s’era costruito, al Quarticciolo, un piccolo esercito, era ben organizzato, c’era gente che parlava di cannoni…, insomma proprio organizzato. Perché poi ci fu, dopo la liberazione, che gli alleati dissero di consegnare tutte le armi e lui non volle consegnare niente, sono dovuti andare lì per levargliele, poi il personaggio si rivelò per quello che era e è finito così…, insomma.
“Che poi c’è stato pure un film: “Il gobbo del Quarticciolo”, di Lizzani. Quello mi piacerebbe rivederlo adesso, mi ricordo che lì mise in risalto…, interpretò un po’, mette molto in risalto il fatto che questo ragazzo era frustrato in quanto gobbo.
“Io mi ricordo che vennero pure lì da noi quando stavano preparando il film, a sentire un po’ la storia…, ma…, da quello che mi ricordo io…, perché poi quel film lo vedemmo, ma adesso me lo so’ dimenticato, so’ passati tanti de quegli anni. A noi non c’aveva convinto molto, era stata un po’ romanzata.
F.: “Poi venne anche un po’ mitizzato, perché il gobbo in realtà faceva il ladro.
Int.: “Si.
F.: “I suoi luoghi di rifugio erano il Quarticciolo e il Quadraro.
S.: “Al trentotto, a Via dei Ciceri trentotto, al Quadraro, c’era una fontana [lavatoio] e una buca dove si nascondeva.
Int.: “Si, poi questi due che accompagnavano lui, c’hanno detto che erano del Quadraro, i due che stavano co’ lui, poi non s’è capito bene se hanno sparato tutti e tre, se ha sparato lui solo…, sai so’ dei momenti…, stai a guardà chi spara…, all’improvviso, col fuggi fuggi.
S.: “Certo, lì presi alla sprovvista, non hanno avuto neanche il tempo della reazione.
Int.: “No, solo uno è riuscito a muoversi però…, era morto, insomma… m’è arrivato davanti, è caduto, è rimasto lì. Un lago di sangue, era pieno di sangue.
F.: “Il gobbo non ha discusso con questi tedeschi?
Int.: “A noi non risulta. Noi stavamo lavorando…, beh, io no che stavo a guardà mio fratello, qualcuno stava in cucina, altri che portavano ai tavoli, insomma c’era movimento…, ma noi non è che si è notato…, probabilmente non c’è stata una vera e propria lite.
“Lui, si diceva che era una specie di Robin Hood…, ma ha sfruttato la situazione…, probabilmente un astuto…, poi il momento lo permetteva, era facile…, certo, rischiavi la pelle…, ma allora…, prendevi un fucile, ’na pistola, te la mettevi in saccoccia, era una cosa normale. Io mi ricordo che quando i tedeschi scappavano, quando erano ormai arrivati gli alleati, buttavano le armi…, dentro, proprio da noi, c’hanno buttato un mitra, mio fratello lo prese e lo levò…, sai…, ce va qualche ragazzino lo prende, s’ammazza…, per dire.., era normale.
Le maglie di un doloroso destino si andavano avvolgendo attorno al Quadraro: gli attacchi dei convogli con gli alimenti avvenivano nei suoi pressi e il “gobbo del Quarticciolo” lo utilizzava come nascondiglio; le donne che assaltavano i forni erano di lì; nel quartiere era aumentato il numero degli abitanti a causa degli sfollati che dai quartieri bombardati si spostavano in periferia.
Un ghiotto obiettivo nella logica feroce e inumana del comando tedesco che avrebbe preso “più piccioni con una fava”.
Primo, avrebbero messo in atto il piano di “rimozione” dei consumatori prelevando uomini in una zona ad alta densità e diminuendo inoltre la necessità di “assalti ai forni” -le donne terrorizzate dalla rappresaglia e senza mariti e figli da sfamare avrebbero forse desistito-; secondo, avrebbero liberato la Tuscolana al passaggio delle colonne e infine, ma non ultimo, avrebbero probabilmente catturato il famigerato “gobbo” sul quale pendeva una condanna a morte e che, pochi giorni prima, aveva ucciso i tre tedeschi in una sorta di personale regolamento di conti.
Le bande partigiane non erano l’obiettivo dell’“operazione balena” (così venne chiamato l’ignobile rastrellamento) se così fosse stato i tedeschi non avrebbero separato, con un cordone di militari, il sanatorio Ramazzini dal Quadraro, come testimonia Sisto Quaranta:
Quando circondarono il quartiere, misero un presidio intorno al sanatorio per non permettere che nessuno entrasse o uscisse, per paura del contagio… Ma dentro all’ospedale c’erano i partigiani con tanto di cartella clinica![4]
I tedeschi sapevano certamente della presenza delle bande organizzate dentro l’Istituto, ma durante l’operazione lo hanno addirittura isolato, probabilmente per evitare che partigiani armati potessero intervenire, come era accaduto pochi giorni prima alla borgata Gordiani, e inoltre, forse, hanno fatto anche in modo di evitare che qualche abitante del Quadraro potesse fuggire dentro il sanatorio.
In poche ore il Quadraro, o meglio quell’area del Quadraro compresa fra Via Tuscolana, il Monte del Grano, Via di Centocelle e la ferrovia, fu attraversato dai militari tedeschi che arrestarono tutti gli uomini abili al lavoro, che poi portarono dapprima al cinema Quadraro per un primo riconoscimento e poi nello studio 10 degli stabilimenti di Cinecittà. Le cronache ed i racconti dei terribili momenti del rastrellamento e dei dolorosi giorni che lo seguirono, sono debitamente, ed esaustivamente, riportate nei lavori di documentazione che riportiamo nella bibliografia alla fine del capitolo, ai quali rimandiamo per un più completo approfondimento
Le sofferenze per Roma e per il Quadraro non erano comunque finite. Il 21 aprile, durante una manifestazione di donne per la mancanza di cibo la polizia spara ed uccide una di loro. Il 5 maggio viene bombardata e poi mitragliata dagli anglo-americani la zona del Quadraro.
Durante il rastrellamento, i tedeschi non riuscirono comunque a catturare il “gobbo”, uno degli obiettivi dell’azione. Solo pochi giorni dopo, alla fine di aprile, agenti della P.A.I. (Polizia Africa Italiana) arrestano il latitante Giuseppe Albano. La pattuglia di polizia che procede all’arresto è diretta dal vicebrigadiere Emilio Cerroni, genero del tenore Beniamino Gigli.
Qui incontriamo uno strano scherzo del destino oppure, chissà, una motivata presenza di Cerroni. Il “gobbo” ricattava Beniamino Gigli sulla base di una accusa di collaborazionismo perché aveva cantato in presenza di gerarchi tedeschi, cronache dell’epoca inoltre, riportano che la banda del “gobbo” fosse penetrata nella villa del tenore e avrebbe violentato la figlia, moglie di Cerroni. Non abbiamo trovato elementi che confermano o smentiscono la volontaria presenza di Emilio Cerroni, l’episodio resta comunque singolare.
Il 4 giugno del ’44 entrano a Roma le avanguardie della V armata americana. Sono rimessi in libertà i detenuti politici rinchiusi a Regina Coeli, e buona parte di quelli di via Tasso, fra questi ultimi anche Giuseppe Albano, il “gobbo”, che lì, nonostante la condanna a morte a suo carico, svolgeva mansioni di barbiere. In seguito venne riportata la testimonianza di un ufficiale tedesco sulla collaborazione prestata ai tedeschi dal “gobbo” subito dopo l’arresto.
Appena dopo la sua liberazione da Via Tasso, il 6 di giugno, Giuseppe Albano si pone agli ordini dell’ufficio politico della Questura al fine della ricerca di elementi fascisti e ricopre così il ruolo di infiltrato nella sezione del Pfr. Pochi giorni dopo, il 15, sul quotidiano “Italia Nuova”, monarchico, esce un articolo che esalta le gesta e la figura del “Gobbo del Quarticciolo”, questo è decisamente anacronistico visto che la monarchia aveva sempre annoverato il “Gobbo” come “teppaglia rossa”. All’inizio del 1945, comunque, Antonio Albano aveva già ripreso la sua attività, il 14 gennaio, in un conflitto a fuoco durante un furto di fusti di benzina uccide un soldato inglese, pochi giorni prima aveva ucciso un carabiniere alla borgata Gordiani.
A 18 anni non ancora compiuti, il 16 gennaio del 1945, il “gobbo” viene freddato in via Fornovo, davanti alla sede di Unione Proletaria, un ambiguo partito fondato da Umberto Salvarezza, personaggio equivoco che rivendicava la formazione di bande partigiane ma che aveva cercato di raggruppare alcuni fascisti subito dopo la liberazione per mettere in atto una “controrivoluzione”, il quale scrive all’ambasciatore russo per elogiare “Bandiera Rossa” e per chiedere finanziamenti per i “suoi” partigiani; personaggio di cui tutte le Questure d’Italia, ma anche estere, possedevano tracce delle sue attività criminose.
Sei giorni dopo la morte del leader della “banda del gobbo”, il 22 gennaio del 1945, non si poteva entrare ne uscire da Tiburtino III e da Pietralata.
Così riporta Mario Sanfilippo in un articolo del marzo del 2003:
All’alba le borgate erano state circondate dalla polizia, che aveva consigliato di non muoversi, perché era in atto la battaglia del Quarticciolo! Centinaia di carabinieri e poliziotti, più alcuni reparti dell’esercito con autoblinde avevano accerchiato il Quarticciolo e assaltato i ricoveri della banda del Gobbo, comandata dai suoi vice. La banda aveva risposto al fuoco e lanciato bombe a mano contro gli aggressori. Dopo 18 ore di combattimenti e rastrellamenti si contano un morto, tre feriti gravi (i feriti leggeri si sono dileguati), 500 fermi tramutati in centinaia d’arresti; è catturato un vero e proprio arsenale (dalle pistole ai mitragliatori, dalle mitragliatrici a un mortaio), un intero parco macchine e una centralina telefonica con dieci derivazioni. Le forze dell’ordine hanno riconquistato il territorio del Gobbo, ma per due anni continueranno a catturare o uccidere l’ultimo seguace del Gobbo!
Cercare di capire, attraverso la conoscenza del passato, i motivi che hanno spinto uomini a quella o quell’altra azione, ci può aiutare a capire meglio il nostro presente.
Non desideriamo, nel modo più assoluto, dimostrare una tesi o un'altra, non vogliamo fare arringhe pro o contro nessuno ed il desiderio di conoscenza è l’unico motivo che ci ha spinto a ripercorrere, senza la pretesa di essere esaustivi, quei giorni e quei mesi nei quali si sono collocati molti fatti tragici, di cui il rastrellamento del Quadraro è stato uno dei più duri.
In ogni caso purtroppo, qualsiasi resoconto o ricerca o ricostruzione, non cambia le sofferenze e le umiliazioni che uomini e donne italiani hanno dovuto subire sia da parte degli occupanti tedeschi che dalle truppe alleate che hanno poi ottenuto la vittoria sull’esercito di Hitler.
Fabio De Angelis
Bibliografia
Bocca, Giorgio: Storia dell'italia partigiana: settembre 1953-maggio 1945 - Bari: Laterza, 1971
Ceroni, Guglielmo: Roma nei suoi quartieri e nel suo suburbio - Roma: Palombi, 1942
Corvisieri, Silverio: Bandiera Rossa nella Resistenza romana - Roma: Samonà e Savelli, 1968
Corvisieri, Silverio: Il re, Togliatti e il Gobbo: 1944, la prima trama eversiva - Roma: Odradek, 1998
De Cesaris, Walter: La borgata ribelle: il rastrellamento nazista del Quadraro e la resistenza popolare a Roma - Roma: Odradek, 2004
Guidi, Carla: Operazione Balena: dalle memorie autobiografiche di Sisto Quaranta, deportato civile tra le 947 vittime del rastrellamento nazista del 17 aprile 1944, nel quartiere romano del Quadraro - Roma: Edizioni associate, 2004
Insolera, Italo: Roma moderna: un secolo di storia urbanistica: 1870-1970 - Torino: G. Einaudi, 1993
Katz, Rober: Morte a Roma: Il massacro delle fosse Ardeatine - Roma: Editori Riuniti, 1968
Katz, Robert: Roma citta aperta : settembre 1943-giugno 1944, traduzione di Daniele Ballarini, Maria Cristina Reinhart - Milano: Il saggiatore, 2003
Paoletta, Erminio: Perché le segrete tombe imperiali ad Acca Idea e a Romulea?: origini di Roma e avvio del nostro presente, misteriosofia e primordi di culti cristiani attraverso le ignorate epigrafi del sarcofago capitolino di Alessandro e Mamea e alla luce di iscrizioni e figure della tavola orfica di Accadia e dei nuovi cippi di Bisaccia - Napoli: Laurenziana, 1987
Piscitelli, Enzo: La Resistenza a Roma: 8 settembre 1943-4 giugno 1944 - Estr. da: Studi Romani
A. 12, n. 3 (luglio-settembre 1964)
Piscitelli, Enzo: Storia della Resistenza romana - Bari : Laterza, 1965
NOTE
1. - Il termine indicava, all’epoca, palazzine di massimo quattro piani con distanze fra loro, al minimo, pari alla loro altezza. La parola oggi evoca purtroppo, in campo urbanistico, palazzi-alveare come ad esempio Corviale a Roma o il quartiere Zen di Palermo.
2. - Il “Calpurnio Fiamma” di Roma (conosciuto anche come “Stabile occupato”) fu forse il primo centro sociale della capitale. Il locale, di proprietà del Comune di Roma, fu occupato nel 1978 poi sgomberato nel 1979. Nonostante il riconosciuto valore storico, il Comune di Roma lo fece radere al suolo per far costruire un supermercato, poi una banca.
3. - Nel 1944 l’ora legale venne applicata dalle 2 del 3 Aprile alle 2 del 17 Settembre, soltanto però, episodio unico fin’ora, nel Nord dell’Italia, a Roma quindi vigeva l’ora solare.
4. - Carla Guidi: “Operazione balena – Unternehmen Walfisch”, Roma, Edizioni Associate, 2004, p. 55